Ho letto con attenzione l’ultimo intervento di Gianni Del Bufalo e, non so perché, mi sono sentito… tirato per i capelli (espressione, questa, sostanzialmente incongrua, nel mio caso) a formulare alcuni commenti e in qualche modo quasi responsabile di un nuovo “reato umano” che definirei tentata induzione alla disperazione di massa (tentativo, evidentemente, non riuscito con Gianni!).
Dico subito, invece, che, prese ad una ad una, le tesi di Gianni (relatività storica dei punti di osservazione generazionale, assoluta angustia umana di concetti di felicità legati al reddito o alla stabilità, etc.) mi paiono sagge e, direi anche (senza sorpresa), umanamente profonde. Le condivido, dunque, pienamente.
Il fatto è però che prese tutte insieme e collegate alla premessa sul pessimismo da bar delle previsioni degli esperti, le tesi di Gianni mi sembrano stranamente pericolose; e dico subito, in pillole, perché:
- ritorno sul concetto, cui mi sono affezionato, che pessimismo ed ottimismo non sono che esercizi di dissimulazione della nostra ontologica ignoranza del futuro. In realtà non sappiamo cosa accadrà domani e cerchiamo di nascondere questa ignoranza vestendola di convenzionali visioni del futuro, una sorridente e una triste, una specie di emoticon lessicali per descriverci con la bocca in su o con la bocca in giù;
- valutare il presente con severità (anche massima) non è pessimismo, come non sarebbe ottimismo valutare il presente sentendosene soddisfatti: è semplicemente solido esercizio di realismo: io non vedo, con riferimento al nostro Paese in questo tempo dell’Europa e del mondo, elementi di conforto (sbaglierò, ma la vedo così e spero che qualcuno mi convinca del contrario, sempre con riferimento al presente, però);
- valutare il presente con severità (anche massima) non esclude la possibilità che se ne esca: in fondo, il nostro paese (ma anche altri, in vari periodi) è uscito da situazioni magari più gravi della presente; il fatto è che non vedo profilarsi vie d’uscita che non comportino una forte discontinuità, con tutto quello di traumatico che la discontinuità può comportare;
- che l’uomo tenda naturalmente verso la felicità ed abbia in sé capacità di adattamento che gli permettono di trovare la felicità comunque, anche nelle situazioni più difficili, è cosa che credo anch’io; ma bisogna stare attenti a non porre questa fiducia al posto di una forte capacità critica del presente, convertendoci, fuori tempo e fuori età, in desueti figli dei fiori.
- Dice Gianni “avere paura non è mai stata una buona idea”: non so se è sempre vero, la paura talvolta sprigiona adrenalina. Ma in ogni caso la paura del presente mi pare, hic et nunc, più fondata della cieca fiducia nel futuro, non foss’altro perché il presente lo possiamo valutare, misurare, toccare con mano; il futuro lo possiamo solo immaginare.