“Come si possono estorcere informazioni a un detenuto senza forzarlo, senza torturarlo? E in quanto ai desaparecidos, pensa che avremmo potuto fucilare 7.000 persone? Guardi la confusione che il Papa ha fatto scoppiare a Franco con sole tre persone condannate a morte. Ci cade il mondo addosso. Non si possono fucilare 7.000 persone. E se le mettiamo in carcere? Già è successo. Arrivava un governo costituzionale e le rimetteva in libertá. Prendevano di nuovo le armi e ricominciavano ad uccidere”.
Queste sono le parole del generale argentino Díaz Bessóne, parole che, insieme a quelle di altri generali, fanno parte del film-documentario “Squadroni della morte. La scuola francese”, diretto dalla giornalista francese Marie-Monique Robin e recentemente uscito nelle sale europee.
Il concetto è chiaro: se si devono uccidere 7.000 persone (ma qui a Buenos Aires si parla di 30.000 morti) bisogna trovare un metodo rapido e sicuro, quasi ‘scientifico’. Questo fecero in Argentina i militari nella guerra controrivoluzionaria quando tornarono al potere nel 1976: torture, ricatti morali, uso di sacerdoti per estorcere le confessioni, stupro, uccisione e sequestro di bambini per convincere i genitori a collaborare. E poi i cosiddetti ‘voli della morte’, aerei che trasportavano prigionieri politici che venivano drogati e lanciati nell’Oceano.
Niente fu lasciato al caso, all’improvvisazione. Al contrario tutto era sostenuto da corsi e seminari sul ‘metodo’, in particolare sul metodo francese giá sperimentato ‘con successo’ nella guerra d’Algeri. “Combattevamo con il regolamento in mano”, afferma il generale Benito Bignone.
La cosa che più impressiona è che i generali non hanno problemi ad ammettere crimini di ogni genere. Al massimo ammettono un errore ‘semantico’: “Il nostro grande errore fu permettere di chiamarla ‘guerra sporca’ (sucia). Nessuna guerra è pulita. Nella guerra classica tutti quelli che muoiono o almeno la maggior parte sono innocenti. Non hanno scelto di andare in guerra, li mandarono. Nella guerra rivoluzionaria sono loro a scegliere di andare in guerra. É molto piú sporca l’altra che questa”.
Dunque, tra il 1976 e il 1982 si combatté in Argentina una guerra ‘non tanto sporca’ dove i desaparecidos e le esecuzioni illegali furono solo un “danno collaterale”, danno che appartiene ormai al passato.
È peró un passato che in Argentina ancora non passa e che non smette, invece, di farsi presente: nella ‘Madri di Plaza de Mayo” che continuano a sfilare ogni giovedì pomeriggio davanti alla Casa Rosada (il palazzo presidenziale) per chiedere, certo ormai simbolicamente, notizie dei figli scomparsi; nelle numerose manifestazioni che hanno preceduto e stimolato l’annullamento (per ora solo da parte del Parlamento, in attesa che si pronunci la Corte Costituzionale) delle leggi ‘Punto Finale’ e ‘Obbedienza Dovuta’ che lasciano impuniti i quadri intermedi delle giunte militari; nelle pagine dei giornali, da anni sempre piene di recordatarios pubblicati dai familiari dei detenuti scomparsi alla fine degli anni ’70. Nomi, foto, parole che proprio in questi giorni sono anche raccolte in una mostra intitolata ‘Poesia diaria. Perché il silenzio è mortale’: “Ti cerco sempre”, “Il dolore sarà eterno”, “Non dimenticheremo”…
Due considerazioni: nonostante quello che affermano i generali intervistati, deve essere abbastanza sporca una guerra che lascia una macchia cosí ben visibile e difficile da cancellare. In secondo luogo, chissà se durante quest’anno a Buenos Aires troverò un cinema dove poter vedere il documentario.