84 pagine, 2 ore e 3 interlocutori; questi sono i numeri che sono serviti a rispondere alla domanda “Perché siamo così ipocriti sulla guerra?”, titolo del nuovo libro del generale della Nato Fabio Mini, il quale,  insieme a Vincenzo Nigro, giornalista di Repubblica e Nino Sergi, Presidente di Intersos, trova nell’ipocrisia il minimo comune denominatore delle più raffinate strategie politiche e belliche, dall’antichità fino ai nostri giorni.

La sede di Intersos in Via Aniene 26/A ha ospitato mercoledì scorso nella sala StarlinArush, il dibattito e la presentazione del suddetto libro.

Intersos infatti interviene in tutti quei paesi vittime di guerre, di carestie e, quindi, di ipocrisie costruite a livello mondiale. I popoli di questi paesisono costretti a pagare un prezzo altissimo, doppio, sia per la guerra che viene loro inflitta, sia per le menzogne che sono loro proposte a giustificare tale guerra.

Nell’efficace excursus storico del libro troviamo fatti che appartengono a periodi diversi: dalla Seconda Guerra Mondiale fino all’intervento italiano in Libia, in questi eventi rintracciamo facilmente il ricorso alla vera arma di distruzione – direi quasi, di distrazione di massa -che è l’ipocrisia, inscenata a vari livelli gerarchici politici e militari, “dei potenti e dei mediocri”; fra le alte dirigenze degli stati, fino ai singoli soldati, lanciati in guerre assurde o in finte missioni di pace che cercano costantemente una giustificazione, per continuare a combattere, perché la ragione “ufficiale, propinata dai governinon è evidentemente sufficiente.

 “La prima vittima della guerra è proprio la Verità”. Basta questa semplice riflessione per ripensare tutta la storia dell’uomo in un’altra chiave, molto più inquietante, una chiave che mette in discussione molte cose, che pone domande al lavoro degli storici così legato alla visione della contemporaneità e così dipendente dalle culture dominanti, da un presente esteso che non si lascia comprendere facilmente.

E così vediamo che dall’armistizio dell’8 settembre del 1943, un armistizio che non cessava le ostilità, una pace separata che in realtà era un’altra dichiarazione di guerra; al disastro delle due bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, alla Guerra Fredda, giustificata come attacco globale al comunismo; alle due torri del World Trade Center, a Saddam Houssein, a Osama Bin Laden, alle operazioni umanitarie o di polizia internazionale in Libano, Kosovo, Albania, Afghanistan, Somalia e Iraq, la benzina della macchina bellica è sempre il falso pretesto, mischiato ad un po’ di bella retorica.

“Perché la guerra, in fondo, è un grosso affare”.

Il libro cita una vignetta di Kirk Anderson che ritrae i Quattro cavalieri dell’Apocalisse (Guerra, Carestia, Pestilenza, Morte) come “sorridenti grassoni rappresentanti delle agenzie e delle multinazionali che traggono profitto da ciascuna sciagura” (rispettivamente Lockheed Martin, la multinazionale degli armamenti, Monsanto, rappresentante dei prodotti chimici e transgenici per l’agricoltura, Pfizer la casa farmaceutica multinazionale e il Fondo Monetario Internazionale).

La breve analisi del libro basta a lasciare l’amaro in bocca, il senso di disgusto e di impotenza difronte alla storia, passata e presente, difronte al perenne vizio del genere umano, che è quello di mentire.

Durante il dibattito, il giornalista di Repubblica, Vincenzo Nigro, si interroga su quanto e come l’ipocrisia sia permeata anche fra le testate giornalistiche che sempre più si concentrano su false, o quantomeno parziali notizie, per divertire (di-vertere l’attenzione, ossia distogliere), ed allontanare dalla verità.  Rivendica quindi un giornalismo serio, maturo, e capace di sfondare la barriera delle menzogne imposte dalla politica, dai governi, affinché molte coscienze si risveglino.

E non sono tardate ad arrivare domande semplici ma fondamentali: come possiamo fermare il circolo vizioso dell’ipocrisia? Il generale laconicamente risponde che l’unica via siamo noi, anche nel nostro piccolo, attraverso la rete, virtuale e non, attraverso l’informazione e la comunicazione diretta e traversale, a strappare il velo di Maya, di illusioni, di menzogne e di falsi pretesti.