Venerdì 3 dicembre sarà la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità, meno nota e meno mediaticamente celebrata di altre giornate internazionali per due ragioni evidenti: la prima è che la maggior parte delle persone avverte la disabilità -in tutte le sue forme- come qualcosa che non la riguarda, la seconda è che ogni riferimento alla disabilità finisce spesso per ammantarsi di pietismo e buonismo, un approccio lontanissimo, anzi in contrasto, con quello della tutela dei diritti. Un diritto è dovuto, non generosamente concesso. Alcune disabilità possono a volte comportare oggettive difficoltà di fruizione della piena cittadinanza, ma in nessun caso esse possono giustificare una discriminazione preconcetta.
Anche papa Francesco, nel suo messaggio in occasione di questa Giornata internazionale, torna sul tema: “La discriminazione è ancora troppo presente a vari livelli della vita sociale; essa si nutre di pregiudizi, di ignoranza e di una cultura che fatica a comprendere il valore inestimabile di ogni persona. In particolare, considerare ancora la disabilità — che è il risultato dell’interazione tra le barriere sociali e i limiti di ciascuno — come se fosse una malattia, contribuisce a mantenere separate le vostre esistenze e ad alimentare lo stigma nei vostri confronti.”
Non sarà mai abbastanza sottolineato quanto il livello di difficoltà a godere della piena cittadinanza -dunque di accedere all’informazione, alla cultura, alla relazione e ai servizi- non è imputabile solo ai limiti di ciascuno, ma prevalentemente alla interazione fra questi limiti e le barriere sociali esistenti. Se l’intervento sul limite non può superare alcune soglie, quello sulla rimozione delle barriere sociali ha ampi margini per evolversi e rendere possibile la piena partecipazione. E’ evidente, ad esempio, che per una persona cieca la misura della sua difficoltà a muoversi in autonomia dipende da quanto le barriere sociali siano state rimosse o ridotte, da quanto cioè l’ambiente in cui vive sia dotato di traduzioni in braille, in messaggi audio, in segnali tattili e dalle attenzioni architettoniche adottate. Lo stesso ovviamente vale per tutte le altre forme di disabilità.
Il 3 dicembre non è dunque una Giornata internazionale per le persone con disabilità: essa riguarda tutti e ciascuno, gli individui e le istituzioni, gli interventi pratici e -soprattutto- la mentalità con cui leggiamo e interpretiamo la disabilità. Se quando pensiamo a una persona disabile ci vengono in mente solo i suoi limiti e non invece i suoi diritti e le possibilità da esplorare per renderli fruibili, vuol dire che siamo a forte rischio di scivolare nelle paludi del pietismo o -peggio- di naufragare nel rassicurante mare di chi si rallegra in cuor suo che la disabilità non lo riguardi, non accorgendosi di essere così vittima della peggiore delle disabilità, quella per la quale non c’è alcun rimedio.