La scorsa settimana, insieme a Livia Turco, ho incontrato assistenti sociali e psicologi del Comune di Roma nell’ambito di un corso di formazione affidato alla ASP Sant’Alessio. Oggetto dell’incontro le politiche legate all’immigrazione.
E’ stata l’occasione per raccontare come -negli anni novanta- fu affrontato e vissuto questo “nuovo” fenomeno e per ripercorrere le tappe e i mutamenti della relazione tra italiani e immigrati. La mia esperienza di quegli anni come assessore del comune di Roma e quella di Livia Turco come ministro della solidarietà sociale ci hanno consentito di tratteggiare la graduale evoluzione delle politiche migratorie dalla “tolleranza” alla “multiculturalità ”, dalla contrapposizione tra “solidarietà” e “sicurezza” alla difficile integrazione fra i due approcci evitando le trappole ideologiche e le curve da stadio. Il gran lavoro di Livia Turco portò al varo della legge 40 del 1998 nota appunto come legge Turco-Napolitano, nata dalla collaborazione con l’allora ministro degli Interni divenuto successivamente presidente della Repubblica, che cercava di tracciare il perimetro di una politica solidale politicamente sostenibile.
Ricordando le vicende del quartiere di San Salvario a Torino, Livia Turco tornava a chiedersi come mai sembrasse inevitabile schierarsi ideologicamente tra coloro che consideravano gli immigrati nemici da cui difendersi o tra coloro che li consideravano sfigati di cui impietosirsi invece di ragionare pragmaticamente su come porsi davanti a “persone in carne ed ossa”. Un tema spinoso, divisivo, infestato da pregiudizi radicati in profondità e da paure alimentate ad arte.
E’ stato un incontro interessante e partecipato, al termine del quale però mi ha assalito un interrogativo: come mai, dopo trent’anni, ci ritroviamo di fronte agli stessi problemi, a porci le medesime domande, a registrare le medesime tensioni? Cosa non ha funzionato? Abbiamo sbagliato qualcosa o questo problema è come un giro di giostra che si ripresenta periodicamente uguale a se stesso rendendo sterili tutti gli sforzi fatti per risolverlo?
E’ evidente che non può bastare una legge per risolvere definitivamente un problema di questa portata. Indubbiamente l’immigrazione -con il trascorrere degli anni- è oggettivamente cambiata connotandosi in modo diverso: a una migrazione prevalentemente economica si è aggiunta una migrazione forzata da paesi in guerra, alla quale si aggiungerà una prevedibile migrazione ambientale. Sono cambiate le quantità e le caratteristiche. Sarebbe stato necessario aggiustare il tiro della legge del 1998 per rendere più efficiente la politica migratoria solidale, ma i successivi interventi legislativi sono stati di segno opposto: prima la legge Bossi-Fini del 2002 e -soprattutto- i due tristemente famosi decreti “Sicurezza” di Salvini del 2018 hanno progressivamente chiuse le maglie di una accoglienza ragionevole, spingendo su provvedimenti repressivi, centri di reclusione e una ipotetica politica di rimpatri concretamente irrealizzabili in assenza di accordi internazionali con i paesi di origine.
Per rendere possibile una evoluzione positiva della questione occorre invece puntare sull’apertura di canali ordinari che consentano una immigrazione legale senza costringere tutti ad invocare la protezione internazionale per poter sperare in un permesso o almeno prendere tempo. E’ necessario e urgente il superamento del regolamento di Dublino (1997) che ha esasperato l’accoglienza dei richiedenti asilo incastrati -come in una gabbia- nei paesi di primo approdo UE e un corretto aggiornamento decreti flussi da calcolare sulle crescenti necessità del mercato del lavoro e tenendo conto della povertà demografica del nostro paese.
Una grande speranza sono le seconde generazioni, a condizione però di varare in tempi brevi una legge sullo ius soli/ius culturae che riguarda oltre ottocentomila ragazzi nati in Italia o giunti piccolissimi e poi cresciuti qui.
No, non è stato solo un giro di giostra, ma non basta il piano normativo se non cambia la cultura di fondo e non si combattono i pregiudizi. Governare l’immigrazione è –e sarà ancora di più in futuro- una sfida difficile e un percorso accidentato dalla cui soluzione dipenderà in gran parte l’equilibrio e la convivenza civile nel nostro paese.