Mi riallaccio al mio precedente contributo, in particolare al tema dell? Homo Televisivus.
Potremmo partire da questa semplice domanda: fa freddo perché fa freddo o fa freddo perché sento freddo? La domanda sembra banale, ma a ben vedere è un tema da secoli dibattuto nella cultura Occidentale ( nella filosofia, nell?arte, nella letteratura), che si dipana molto sinteticamente nell? inarrestabile dialettica tra ?Oggettivo? e ?Soggettivo?, se cioè il reale esiste di per sé – così è nella sua immanenza – oppure esiste in quanto esiste un ?altro? che col suo sistema di decodifica lo legge e lo interpreta. In tal caso il reale non è , ma è come appare che sia.
Dalla civiltà Greca in poi, a lungo si sono trastullati i filosofi occidentali su questo tema ? tutto sommato, diciamo la verità, un po? stucchevole – fornendo ognuno le proprie soluzioni gnoseologiche. Ma il dibattito tra ?Oggettivo? e ?Soggettivo? ha alimentato e orientato anche il panorama artistico e culturale. Nell?arte, nella letteratura e nel cinema i due poli si sono spesso incontrati e contrapposti: dall? ?oggettività? del realismo di Courbet e dell?iperreralismo di Richard Estes ? tanto per fare esempi a noi vicini – alla ?soggettività? degli espressionisti tedeschi o di un Jackson Pollok , per non dimenticare il pirandelliano ?così è, se vi pare? o il film Rashomon, uno dei capolavori del regista Akira Kurosawa.
La dialettica tra queste due polarità di pensiero interessa anche la politica più di quanto sembri. Proviamo a farci questa domanda: i problemi di questa nostra (depressa) società (italiana) esistono in quanto sono, o esistono in quanto percepiti come problemi?
Già gli anni scorsi si è discusso tanto dell?inflazione, della decurtazione del potere d?acquisto dei salari, mentre degli indici ISTAT erano fermi a livelli inflattivi più che tollerabili. Nonostante ciò gli italiani si sentivano più poveri: lo erano effettivamente o ?solo? si ?percepivano? più poveri?
Dalla campagna elettorale in poi, in primo piano, c?è il problema sicurezza. Sempre dati ISTAT ci informano che quasi tutti i reati sono in calo, anche del 60%, eppure la gente si sente più insicura e minacciata. Ha ragione l?ISTAT con i suoi dati ?oggettivi? o è ?solo? la gente che si ?percepisce? più insicura e male protetta dalle istituzioni?
Ultimamente, collegato al tema della sicurezza, sul Redattore Sociale del 15 maggio, sono stati pubblicati alcuni dati che riguardano i ROM, considerati ormai universalmente come una pubblica minaccia, se non altro sanitaria, anche per l?elevato numero di densità e presenza nei centri urbani. Ebbene i dati ci dicono che l?Italia è il 14 Paese europeo per densità di presenza ROM. Esiste allora un problema ?oggettivo? ROM o i ROM sono solo ?percepiti? come un problema dai cittadini?
Ecco allora che alla dialettica ?essere? o ?non essere?, superata poi dall? ?essere? o ?avere?, in politica, oggi, se ne aggiunge una nuova: ?essere? o ?percepire?.
Quale dei due termini del dualismo in politica debba prevalere, ce lo dice ? e condivido – Massimo Cacciari, che interrogato in una trasmissione televisiva sulla sicurezza a Venezia, per quanto riguarda i ROM ha affermato con forza: ?è inutile che l?ISTAT dica che i reati sono in calo, se la gente si sente insicura, il politico è a questa percezione di insicurezza che deve dare risposte?.
Se quindi è la percezione che in politica ha il sopravvento, domandiamoci: ?cos?è, in fondo, la percezione, cosa la determina??.
Percepire significa applicare un sistema di segni di decodifica alla realtà circostante, che noi riorganizziamo e rielaboriamo secondo il nostro status emotivo e culturale, secondo cioè ?sovrastrutture? mentali, che a nostra volta abbiamo acquisito con la nostra esperienza: studiando, lavorando, vivendo. Ogni individuo ha il suo particolare, ?unico?, sistema di decodifica, che altro non è che il proprio modo ?unico? di leggere il mondo, Weltanschauung la chiamavano i tedeschi, cioè la propria visione del mondo. E il mondo si legge e si vede attraverso le proprie idee, la propria ideologia. Quindi percepire significa leggere la realtà attraverso il proprio sistema di segni, di idee, la propria ideologia. Di contro, si può leggere il mondo senza ideologia? Si può, ma fermandoci ineluttabilmente alla mera elencazione di fatti senza nessuna possibilità di interpretazione, senza dare ai fatti contenuti e priorità. Per questo inorridisco quando sento dire che non esistono più ideologie. Non esistono certo più le grandi ideologie antitetiche che hanno ispirato la dialettica politica dell?Occidente ( e italiana) dello scorso secolo, ma a queste si sono aggiunte tutta una serie di ideologie polverizzate, che non sono in grado di essere prevalenti o di aggregare le altre (da qui anche la difficoltà di una vera aggregazione tra i vecchi partiti politici,soprattutto quelli più ancorati alle passate ideologie e che non hanno la forza, o il coraggio, di crearne una nuova).
Quali sono gli strumenti in grado di elaborare un sistema ideologico? Nella civiltà dell?apparire è senz?altro la televisione, lo strumento principe che crea ?ideologia?.
Aver sottovalutato la capacità ?educativa? della televisione è stato il più grave errore del centrosinistra al governo dal 1996. La televisione ? più degli altri mass media, perché più diffusa – ha dettato l?agenda politica, le priorità, i problemi e le soluzioni ai problemi. In campagna elettorale ci ha scientificamente martellato con immondizia, Alitalia, stupri, violenze, furti e saccheggi, alimentando fobie e xenofobie, sicché ora la società italiana ?appare? più insicura e la gente chiede severi provvedimenti. Tra poco riporterà invece, a tambur battente, si può star certi, notizie di controlli, arresti, espulsioni, decreti governativi, così da ingenerare la convinzione che ?finalmente siamo più sicuri?.
La televisione, dunque, crea ideologia, e riveste ? in percentuali diverse secondo l?esposizione e la capacità di filtro dovuta alla presenza o meno di altri strumenti di decodifica – un ruolo spesso preminente tra gli strumenti di lettura della realtà. E? ovvio che chi è sovraesposto a questo strumento (casalinghe, anziani, bambini) e non ha altri strumenti di verifica nel suo bagaglio ?culturale? avrà un?ideologia ?televisiva? e la sua visione del mondo e la priorità dei problemi sarà equiparata alla scaletta delle notizie dei TG, i suoi modelli di vita, il suo linguaggio, i suoi comportamenti andranno ad identificarsi con quelli visti e proposti dallo schermo: la vita come fiction.
Si chiedevano l?altro giorno Enrico Letta e Amedeo Piva: i poveri votano a destra? Io direi meglio: le classi sociali più ?povere? di strumenti di decodifica, cioè più esposte al potere mediatico votano a destra? Certo che sì. Perché sono le classi più esposte, ad esempio, allo stress da insicurezza e l?insicurezza (con l?immigrazione) è stata identificata dalla televisione e dai mass media in genere come il principale problema di questi tempi e quindi anche per loro ?appare? come il principale problema per il quale percepiscono di non aver avuto risposte convincenti dal passato governo.
Il potere evocativo di sentimenti di insicurezza da parte dei mass media è peraltro fortissimo, e lo si è sperimentato anche in altre situazioni non pertinenti con la politica. Ricordiamoci ad esempio il morbo della mucca pazza o dell?influenza aviaria, che già ricordavo nel precedente contributo. Ogni giorno un martellamento di notizie e immagini del povero contadino infetto della sperduta provincia cinese, tailandese o kurda. Fatti lontani da noi migliaia di chilometri e di fatto con un?incidenza statistica sulla mortalità assolutamente irrisoria rispetto ad altre patologie. Eppure in Italia abbiamo visto crollare i consumi di carne e di pollame, con interi settori alimentari entrati in crisi per il calo dei prezzi. Poi silenzio, e abbiamo tutti ricominciato a magiare la stessa carne e gli stessi polli. Il problema sanitario è rimasto immutato, non c?è stato nessun vaccino nel frattempo, ma senza l?amplificazione mediatica (televisiva in primis) il fatto ha perso i suoi connotati di allarme sociale.
Altro esempio. Estati fa i giornali americani non fecero altro che riportare quotidianamente articoli su bagnanti attaccati da squali, creando il panico sulle due sponde degli oceani, finché poi un giornalista più attento documentò che negli USA c?erano più morti tra i bagnanti che preferivano riposare sotto gli alberi di cocco, colpiti dalle noci che cadevano, che dagli squali. E tutti hanno ricominciato a farsi il bagno, magari con l?avvertenza di preferire l?ombrellone alla palma di cocco.
Qualche giorno fa, sotto le elezioni, in TV c?era solo Napoli con la sua immondizia e l?Alitalia: in quel momento quella era l?agenda politica dettata dai media: e ora? Fine improvvisa dell?emergenza, solo qualche notizia qua e là tanto per ravvivare il ricordo.
Tornando a Cacciari, penso che comunque un politico debba sicuramente per prima cosa dare risposte a quelli che per le persone ?sembrano? problemi. Ma compito della politica ?alta? è anche quello di diffondere ?democraticamente?, cioè in tutte le classi sociali, strumenti di decodifica che si integrino e verifichino tra di loro per non creare la supremazia di un solo strumento (la TV nel nostro tempo) che genera inevitabile appiattimento. Questo significa produrre e promuovere cultura, accessibile e in tutte le forme possibili. Ma abbiamo gli uomini giusti, le risorse adatte, questa sensibilità del problema? Forse una campagna televisiva potrebbe aiutarci.
La generazione che si è formata culturalmente negli anni Novanta, cioè dopo il muro di Berlino, è una generazione sostanzialmente avulsa dalla politica. Dalla fine degli anni Ottanta è venuto a mancare uno dei due poli (il comunismo) della dialettica che alimentava il dibattito culturale, in senso generale, da oltre un secolo, e che in qualche maniera obbligava le generazioni a schierarsi e quindi a prendere delle posizioni, a riflettere, a produrre pensiero, cultura. Ne è seguito un vuoto culturale che è stato riempito esclusivamente da programmi TV sempre più dequalificati e portatori di modelli esistenziali legati a valori consumistici, a status symbol e a modelli di relazioni umane basate sull?urlo come affermazione di sè.
E mentre questa generazione si formava su questi valori, diciamo così, ?frivoli?, gli orfani del comunismo hanno creato un sostituto, la nuova ideologia dell?antiberlusconismo (lo dico solo come dato di fatto non è un giudizio di merito). Che non poteva aver seguito tra i giovani proprio perché questi erano formati su valori trasmessi dalle ?sue? televisioni, quindi con modelli di decodifica della realtà indotti scientificamente attraverso quell? impero mediatico, di proprietà proprio di quella persona che si voleva combattere.
La mia paura è che la tanto auspicata (sia destra che da sinistra) fine dell?ideologia, di cui ora tutti parlano, non sia altro che l?affermarsi di un?unica trasversale appiattita super-ideologia dove si può votare indistintamente Alemanno al Comune e Zingaretti alla Provincia, Berlusconi al Senato e Veltroni alla Camera, una specie di qualunquismo elevato a teoria, dove i programmi degli schieramenti si sovrappongono, come si sovrappongono le soluzioni proposte, o dove, in un curioso gioco invertito delle parti, un Ministro dell?Economia di destra, diventa un teorico no-global, emana provvedimenti fiscali contro le banche e le assicurazioni, mentre uno di centrosinistra evita invece di restituire il tesoretto alle classi meno abbienti, ai lavoratori dipendenti.
Il tutto legato da una densa dolce appiccicosa melassa da cui è difficile staccarsi, che le TV ogni giorno ripropongono tra sorrisi e strette di mano come l?inevitabile lieto fine di un troppo lungo periodo di scontro. E anche a noi alla fine ci appare come la soluzione più giusta.
La fine dell?ideologia fa anche questi scherzi, nell?era del berlusconismo, l?unica ideologia veramente rimasta.