Il nostro problema è difenderci dalla valanga informativa che ci raggiunge ogni giorno, selezionando i contenuti validi, che ci permettono di formarci delle opinioni consapevoli. Nessuno, nei Paesi sviluppati, mette in dubbio che per avere democrazia sia necessaria la piena partecipazione, e quindi la libera informazione.
Nei Paesi in Via di Sviluppo la realtà è ancora diversa. Perché l?informazione, spesso, non circola e perché le televisioni e i giornali spesso non ci sono, o sono completamente inadeguati.
Purtroppo, secondo dati forniti dall?Inter Press Service (IPS), i fondi per la cooperazione provenienti dai Paesi industrializzati non destinano che lo 0,4 % allo sviluppo dell?informazione e della comunicazione.
Questa cifra comprende, inoltre, anche i progetti infrastutturali relativi alle telecomunicazioni, che le statistiche non distinguono dagli altri progetti: parliamo quindi di misere cifre, che danno la misura della scarsa importanza attribuita al settore ed insieme della sua ?delicatezza? dal punto di vista politico.
Dall?UNESCO alla nostra legge per la cooperazione (legge n.49 del 1987) non sono mancati i riferimenti all?importanza dello sviluppo del sistema informativo. In particolare, l?UNESCO sta curando il Programma Internazionale per lo Sviluppo della Comunicazione, organizzando a questo scopo una serie di seminari internazionali mirati alla promozione di mezzi di informazione indipendenti e pluralistici, l?ultimo dei quali si è tenuto in Namibia nel 2005. Ciononostante la comunicazione resta una Cenerentola negletta nell?ambito della Cooperazione Internazionale allo Sviluppo dei Paesi più poveri.
Se l?informazione non è oggetto di interventi, questo si deve anche, come si accennava, ad un problema politico. Intervenire sulla formazione dei giornalisti e sullo sviluppo delle infrastrutture che permettono di ?svegliare le coscienze? è un esercizio scomodo e non beneamato dai governi locali, nonché uno strumento di effettiva invasione se l?intervento non è condotto a regola d?arte. La difficoltà nell?agire non dovrebbe però far dimenticare l?importanza dell?azione.
Allo stesso tempo, si nota la carenza di un volet destinato all?informazione nell?ambito degli stessi interventi in atto. Un progetto di cooperazione, specie nel caso dei microinterventi gestiti da ONG o altre associazioni, potrebbe avere valore di modello e di esempio da seguire: vengono introdotte, in partenariato con enti locali, tecniche e metodologie di lavoro che potrebbero essere riprodotte in contesti simili. Ma i partner locali mancano di fondi e di cultura della comunicazione, e, purtroppo, i budget stranieri riservano sempre una fetta assolutamente marginale a questo tipo di attività. L??appoggio informativo? è quasi sempre previsto, ma nella pratica si traduce spesso in una semplice attività di visibilità a beneficio del (o dei) finanziatori del progetto, piuttosto che nella diffusione dei suoi risultati: ed ecco che un progetto, invece di essere un motore di sviluppo, si riduce ad una esperienza quasi autoreferenziale, che coinvolge poco la popolazione locale e rischia, al suo termine, di restare lettera morta se non per i beneficiari diretti, perdendo il suo valore di ?moltiplicatore di sviluppo?.
In ogni caso, nel settore non governativo lo spazio destinato alla comunicazione, seppure limitato, è maggiore rispetto allo spazio che le tocca nel settore governativo, dove né le aziende esecutrici ? questo non stupisce- né i governi coinvolti mostrano grande interesse verso la diffusione delle conoscenze trasferite.
E questo stupisce un po? di più.