Segnalo agli amici lettori un bel libro (fra l’altro, scritto benissimo, con esemplare chiarezza e senza accademismi speciosi) di Emilio Gentile (storico sperimentato, classe 1946) sui rapporti fra Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi (titolo: Contro Cesare, Feltrinelli, 2010, 440 pagine). Il libro è dedicato – essenzialmente – ai rapporti fra Chiesa e fascismo in Italia e ai rapporti fra Chiesa e nazismo in Germania, ma, come espressamente avverte l’autore (pg 11), con un occhio speciale a ciò che avvenne da noi; il che, ovviamente, ne aumenta l’interesse (per noi).

Al di là della profondità e della piacevolezza del testo (bellissime, fra le altre, le pagine dedicate alla figura  di don Primo Mazzolari ed anche a don Luigi Sturzo, esiliato dalla Chiesa per antifascismo), mi preme sottolineare la grande ricchezza di spunti di riflessione meta-storica sull’ “eterno” tema dei rapporti fra Stato e Chiesa e degli atteggiamenti in qualche modo “Cesaro-Papisti” sempre rischiati dalla Chiesa, spesso apparentemente troppo preoccupata – nel “temporale” – di tutelare i propri “interessi” anche a scapito – talora così può sembrare –  dei propri principi e della propria vocazione spirituale e morale.

Ovviamente il tema scaturisce da uno scenario storico ben preciso, di cui ora conosciamo inizio, svolgimento e fine; quindi – per abbandonare la prospettiva storica e porsi in quella politica – la valutazione dell’efficacia, della saggezza e della coerenza delle opinioni e dei comportamenti è resa più facile dalla compiutezza dell’esperienza vissuta (ed anche, riconosciamolo, dall’assenza di vincoli o di rischi).

Eppure vale ancora la pena di soffermare la nostra attenzione sul tema politico che innerva il libro, perché – come dicevamo sopra – tendenzialmente “eterno” (o, per meglio dire, ricorrente) e poi perché il presente ha spesso affacciato il riemergere di tali tematiche, più o meno appropriatamente applicate o applicabili al presente.

Veniamo al tema, così come lo poneva con esemplare chiarezza Pio XI rispondendo (1922) a Padre Gemelli sull’atteggiamento da tenere verso il fascismo: “Lodare no. Fare opposizione aperta non conviene, essendo molti gli interessi da tutelare. Occhi aperti!” (Gentile, ibidem, pg 107).

Dico subito agli amici laicisti che sarebbe veramente ingenuo invocare una Chiesa del tutto ignara dei propri “interessi”, anche perché tali “interessi” hanno, molto spesso, contenuto pastorale e in qualche modo un radicamento nella missione stessa della Chiesa. Così, ad esempio, certamente lo ebbero, ai tempi del governo fascista,  l’introduzione dell’insegnamento della religione nelle scuole, l’obbligo della esposizione del Crocefisso nelle aule scolastiche,  la repressione della pornografia, il riconoscimento delle feste religiose, etc..

D’altra parte, non v’è dubbio che, oggi come ieri, l’espressione spesso avventata delle opinioni (molto spesso equivocate quanto all’effettiva autorevolezza istituzionale di chi le manifesta) espone al rischio di gravi infortuni comunicazionali e di conseguenza a strumentalizzazioni tanto più pericolose quanto  maggiore è diventata (qui mi riferisco anche all’Italia di oggi) la pulsione all’intolleranza verso ogni forma di riflessione.

Il principio evangelico che gli alberi si riconoscono dai frutti non comporta però che si debba fare la radiocronaca della fruttescenza: bastano poche parole, nette, alla semina – l’abbiamo detto altre volte – e poi si aspetti il raccolto. Peraltro, conoscendo bene la deperibilità dei raccolti, l’astensione da commenti in fase di fruttescenza sarebbe ovviamente (anzi, beninteso, sarebbe stato nel quadro storico narrato) oltremodo consigliabile.

Del resto la rassegna storica che Gentile fa delle differenziate evoluzioni delle opinioni della Chiesa sul fascismo (e dei fascisti sulla Chiesa) fornisce un quadro talora quasi tragicamente comico della natura fragile e rischiosa di molte prese di posizione della Chiesa sul fascismo (e dei fascisti sulla Chiesa). Lo stesso papa Pio XI – che, dopo l’iniziale diffidenza, pure nel 1929 aveva parlato di Mussolini come di un uomo inviato dalla Provvidenza – ebbe modo in seguito più volte di mutare ed inasprire il suo giudizio sul fascismo (anche talora distinguendolo dal suo capo) e non v’è dubbio che, come egli stesso aveva consigliato a Padre Gemelli, abbia tenuto gli occhi aperti, anche con fermezza, specie su certi argomenti (l’educazione dei giovani innanzitutto) e che abbia, nel tempo, focalizzato l’aspetto statolatrico del fascismo, anche pentendosi di sue proprie espressioni precedenti (Gentile, pg. 219). E tuttavia, anche per effetto dei due concordati (quello col governo Mussolini e quello col governo di Hitler), non riuscì a sottrarsi all’accusa (soprattutto all’estero) di essere, in fondo, ”amico” del fascismo, del quale l’aveva convinto nientemeno che il piglio anti-liberale (o anti-modernista). Come del resto avvenne per il piglio anti-bolscevico del nazismo presso alcuni esponenti del clero, non solo cattolico, tedesco.

Non sempre la storia ha consentito alla Chiesa il silenzio di fronte allo svolgimento dei fatti della politica, anzi talora ha obbligato (o, talora, avrebbe obbligato) alla enunciazione di giudizi; ma anche il calibro dei toni, riconosciamolo, poteva (e talora può, anche ai dì nostri) essere meglio pesato, sia nelle fasi dei precoci entusiasmi sia in quelle (per la verità assai tardive) delle prese di posizione più dure che sarebbero state necessarie, anche ben prima della catastrofe bellica, per esempio quando in Germania ed in Italia dilagò la follia antisemita.

Il libro cita un’opinione di Mussolini (scritta nel 1917, cioè 12 anni prima di essere definito “uomo inviato dalla Provvidenza”) che francamente per rozzezza e blasfemia mi ha molto colpito: Riporto la frase citata nel libro di Gentile (pg 86 e sg) e comparsa in un articolo del Mussolini, ancora socialista, su “Il Popolo d’Italia”: “Prendiamo a calci – ridendo – il Rabbi vile dalle chiome rosse e i suoi rabbini più vili dalle sottane nere …. buttiamo le statue dei vecchi santi nei letamai che fumigano e ingrassano la terra. E di ogni tradizione cristiana o pagana, di ogni tradizione che si genuflette e offre il collo, facciamo un rogo o una barricata …. E anche Cristo si inchiodi ancora sul suo Golgota da palcoscenico” .

Ma, già nel ’23  (solo sei anni dopo), il papa Pio XI si augurava che Mussolini potesse “rigenerare l’Italia” (Gentile, pg 160) e nello stesso anno (7 agosto), La Civiltà Cattolica, timorosa dell’avvicinamento fra De Gasperi (neo segretario del Partito Popolare) e il partito socialista riformista di Filippo Turati, confermò l’apprezzamento per il governo fascista che, “grazie  soprattutto alla tempra singolare dell’uomo che lo dirige” vantava “benemerenze innegabili, massime per ciò che spetta alla religione” e ribadì che il governo Mussolini era “l’unico soggetto dell’autorità civile, secondo gli ordinamenti oggidì vigenti” al quale, secondo i principi inculcati nelle Sacre Scritture, si doveva “dai sudditi, dai cattolici segnatamente, rispetto ed obbedienza”. (Gentile, loc.cit. pg 163)

Certo, lo sappiamo bene, la Provvidenza (che forse però non c’entrava nulla con l’ascesa al potere di Mussolini) fa miracoli spesso dirigendo le cose degli uomini e talora anche cambiando gli uomini: ma, per Bacco!, in questo caso la Provvidenza si sarebbe dovuta spendere con enorme generosità (che del resto le è propria) per un sì grande cambiamento, anche affrontando un grave infortunio come si constatò solo 10 anni dopo quando l’uomo della Provvidenza emanò le leggi razziali ( e fino a qui pazienza, magari avrebbe detto allora qualche illustre prelato; NB: allora c’erano ancora dei preti antisemiti, come si rileva leggendo La Civiltà Cattolica di quei tempi amari; oggi certamente non più, anzi forse) e trascinò l’Italia nell’avventura sanguinosa che sappiamo.

Il fatto è che i giudizi politici, da chiunque vengano formulati, sono per loro natura rischiosi e transeunti, in qualche modo l’opposto della fermezza della Verità e, talora, delle verità: meno se ne spendono e meglio si tutela la propria autorevolezza nel diffondere la Verità.

Mi rendo conto che l’antico e austero monito monacense (Silentium!) sembra cozzare, anzi cozza, con le abitudini del (nostro) tempo, ma esso non dovrebbe essere estraneo alla cultura di chi vive e diffonde messaggi al di là del tempo.

Il grande merito del Silentium! specie su molte cose della politica (ovviamente, fintanto che addirittura esso non diventi una colpa), è, fra i tanti altri, quello di non porre a rischio la credibilità di chi, pur uomo, rappresenta comunque una Verità superiore della cui custodia è responsabile assai più che di transeunti giudizi politici; ed inoltre non obbliga, magari anche nel bailamme del commentismo odierno, ad ardite contestualizzazioni (giustamente, per carità: tutti i comportamenti dell’uomo, siano essi peccati o reati, vanno contestualizzati, per essere compresi e, nei limiti del possibile, valutati), che magari consolano pochi e scandalizzano molti (ripeto: ingiustamente).

Il cinismo della politica (e in generale, tanto spesso, degli uomini che cercano di affermare la propria persona) è cosa certamente nota, tanto più a chi ascolta quotidianamente le confessioni (o anche solo legge criticamente le notizie come brutalmente appaiono sui giornali); sarebbe stato bene (e sarebbe bene tuttora, quando ne ricorrano le occasioni) non assecondarlo con analogo atteggiamento di chi, estraneo alla politica, si trovi a voler esporre plausi o notazioni troppo legate alla tutela di interessi (per carità, magari essenziali), soprattutto quando questa tutela ponga a rischio la credibilità su ben altre e più essenziali tematiche.

Questa è la riflessione che mi ha suggerito il bel libro di Gentile, che come ogni libro di storia, non è tanto fatto per insegnare principi ma per analizzare eventi (del passato, ovviamente).