Leggendo i giornali e ascoltando i notiziari ci sembra -sempre più spesso- di cogliere le prime scosse di un inquietante terremoto: avvertiamo sinistri scricchiolii e osserviamo le crepe sui muri allargarsi pericolosamente.
Si confondono e mutano velocemente gli scenari internazionali, le alleanze storiche, i piani di significato, i toni del linguaggio e le stesse accezioni delle parole. Nemici giurati si riscoprono inaspettatamente complici e compari in affari; valori consolidati e obiettivi condivisi vengono considerati carta straccia; guerre sanguinose sono trattate (tranne per chi è costretto a subirle!) come giochi di ruolo e ripicche condominiali.
Il panorama è desolante: ci sono personaggi da fumetto che straparlano -con il medesimo registro comunicativo- di dazi triplicati, viaggi su Marte, criptovalute, compravendita di miniere, deportazioni di massa… estraendo il “pezzo del giorno” dallo stesso paniere.
C’è chi dichiara nel pomeriggio la sua disponibilità alla pace e -per renderla più credibile- moltiplica nella notte seguente i bombardamenti su città e civili, e chi ritiene normale ‘strategia’ uccidere in una sola giornata quattrocento persone (di cui 130 bambini) senza che la cosa ormai faccia notizia, tranne qualche stanca deplorazione di rito.
Si fa fatica a considerare questi eventi solo scricchiolii e crepe nei muri; gli assetti del mondo -come lo abbiamo conosciuto in questi ultimi ottant’anni- sembrano ormai non contare più e non riusciamo più ad avere fiducia nel futuro: chi è giovane non sa come prepararsi ad affrontarlo ed è comprensibilmente restio a fare progetti a lungo termine e a mettere al mondo dei figli; chi ha già figli e nipoti è preoccupato per il loro futuro; chi è in pensione ha paura che potrebbe incepparsi il sistema previdenziale e -in cuor suo- arriva quasi a rallegrarsi del fatto che le prospettive più cupe potrebbero non riguardarlo.
In questa amara stagione dobbiamo resistere a due tentazioni, entrambe pericolose: quella di vivere nella disperazione -che si accresce ad ogni notiziario- e quella di estraniarci emotivamente, staccare la spina e innaffiare i fiori. Tentazioni entrambe pericolose perché entrambe non risolutive ed alienanti: con modalità di segno opposto -una per eccessiva vicinanza e l’altra per eccessiva lontananza- ci impedirebbero di cogliere il senso di quanto accade, di approfondirne le cause e -conseguentemente- di poterci riconoscere in una posizione “fondata” (oltre le simpatie/antipatie di pancia) e -per quanto possibile- portare un nostro contributo.
Non è bello accogliere la primavera (che evidentemente non legge i giornali!) con un animo corrucciato: ci sembra quasi di tradire la natura e i suoi taciti suggerimenti. Ricordiamoci però che molte generazioni che ci hanno preceduto hanno dovuto affrontare situazioni ugualmente terribili con molti meno strumenti -culturali e tecnologici- di quelli di cui noi disponiamo e -benché pagando prezzi altissimi- ne sono uscite, hanno avuto la forza di ricominciare e il coraggio di credere di nuovo nel futuro: noi siamo venuti dopo e abbiamo goduto i frutti della loro capacità di reazione.
Non possiamo dunque permetterci né il lusso della disperazione, né quello di staccare la spina e innaffiare i fiori: chi verrà dopo di noi ha diritto ad altre primavere e noi abbiamo il dovere di impegnarci perché sia possibile.