Ma si tratta solo di un film? ?La passione di Cristo?, il Kolossal di Mel Gibson pronto ad uscire senza censure in Italia in 500 copie il prossimo 7 aprile (mercoledì santo), ha suscitato un tale interesse negli ambienti religiosi e (non solo) da diventare un complesso fenomeno mediatico ancor prima di arrivare nelle nostre sale.
Arricchito dagli interventi di esponenti della Curia e dello stesso Pontefice, il dibattito sviluppatosi in queste settimane in Italia è stato ricchissimo di novità e polemiche. E a una settimana dall?uscita del film c?è ancora chi, come Furio Colombo, scaglia sull? Unità le sue frecce contro la violenta ?pornografia? del film. Ma per districarsi nel dedalo delle dichiarazioni e arrivare alla visione del film informati ma non influenzati, cerchiamo di fare un po? d?ordine.
Negli States il film è uscito il 25 febbraio scorso, ma il racconto dell?ultimo giorno di vita del Cristo sulla terra aveva fatto parlare di sé in Vaticano già dal 5 dicembre scorso, quando Giovanni Paolo II e il suo Segretario Stanislao Dziwisz guardarono le due ore di film in una riservatissima anteprima divisa in due giorni. Il 17 dicembre ?Variety? fa il primo grande scoop con la notizia della visione riservata. Pochi giorni dopo sarà Peggy Noonan del ?The Wall Street Journal? a realizzare un altro scoop: il primo giudizio del Papa sul film corrisponderebbe alla frase ?It is as it was?. Che cosa vorrà dire? Scoppia il caso, e tutti vogliono sapere cosa pensa davvero la Chiesa di Roma sulla versione ?Gibsoniana? della Passione. Secondo dichiarazioni ufficiali, il Papa avrebbe inteso dire ?è proprio così come è andata?. Parole concise piene di approvazione per la rispondenza del film ai vangeli, si è detto. Più tardi circoleranno voci di un ?incredibile?, pronunciato da Wojtyla in segno di gradimento (ma il termine, specie se commentato dall?inglese, può essere letto con sfumature diverse). Da quel momento il film verrà visionato anche da altre persone, all?interno degli ambienti ebraici e da numerosi esponenti della Chiesa, fino a giornalisti e commentatori.
Le polemiche su questo film, come è noto, non sono mancate. Certamente, il film ha colpito tutti da un lato per il realismo portato fino agli eccessi della violenza e, dall?altro, per la piena rispondenza ai quattro Vangeli, da ciascuno dei quali la pellicola trae alcuni episodi significativi. È l?intensità della pellicola nel suo complesso ad aver scatenato in molti reazioni ora ?violente?, ora di estraneità a tanto uso di scene e situazioni crudeli. Forse è proprio per questa confidenza con l?uso della violenza che Gibson dimostra di avere e l?assenza di pudore nel raccontare nella ?Passione? la disumanità del trattamento riservato al Crocifisso (che effettivamente fu), che chi ha visto il film (non solo) in Italia stenta ad accettarlo.
Gibson è considerato un cattolico tradizionalista, e proviene da una famiglia religiosa ma che non riconosce i cambiamenti dettati dal Concilio Vaticano II.
Ma non è solo la violenza ad aver disorientato i pochi che hanno potuto assistere all?anteprima della ?Passione?. Attorno alla già forte immagine della crocifissione Gibson ha rafforzato il valore simbolico dell?ultima vicenda terrena di Cristo ponendo l?accento sull?uso del sangue e di particolari cruenti, rompendo dunque in un certo senso con una interpretazione teologica (recuperata almeno dal Concilio Vaticano II) che tende a rappresentare la passione di Gesù più come un ?passaggio? inserito nell?unica missione salvifica (vita incarnata, morte e resurrezione) che come un episodio singolo e fortissimo da cui il credente dovrebbe sentire dipendere la sua Salvezza di essere vivente battezzato.
Forse è questo che ha disorientato i molti che, come noi giovani, sono cresciuti nel segno di una Chiesa portatrice di Speranza (?non abbiate paura? ha detto Wojtyla all?inizio del suo pontificato), di amore, carità, fratellanza, perdono. Forse è per questo che la violenza di Gibson accentua la negatività di quello che, in fondo, era un episodio frequente duemila anni fa: un ebreo mandato alla morte di croce da altri ebrei.
L?altra polemica che ha infiammato le pagine dei giornali ha avuto per protagoniste le Comunità ebraiche, da dove si alzava la voce in difesa delle buone relazioni raggiunte negli ultimi decenni tra Ebraismo e Cristianesimo (?è una rappresentazione che ostacola il dialogo? ha reagito scosso il Rabbino Riccardo Di Segni alla vista del film). Per tutta risposta autorevoli commentatori come Vittorio Messori (che ha preferito ribadire sul Corriere della Sera la bellezza dal punto di vista cinematografico e la piena rispondenza alle scritture) hanno cercato di stemperare i toni di un dibattito sin troppo delicato e hanno smesso di interpretare le dichiarazioni Vaticane su cui tanto si era parlato. La stessa Chiesa ha poi affidato ad alcuni tra i suoi più autorevoli esponenti come l?americano Joseph Augustine Di Noia (braccio destro di Joseph Ratzinger) o a Padre Raniero Cantalamessa (predicatore ufficiale della Casa pontificia) il compito di inviare ?segnali di distensione?, chiarendo definitivamente l?apprezzamento per l?opera e fugando i dubbi di qualsiasi pregiudizio antiebraico.
Lo stesso Joaquim Navarro Vaals è tornato a spiegare, in un?intervista di Orazio Petrosillo sul ?Messaggero? dell?11 marzo, come il Concilio Vaticano II, con le dichiarazioni ?Nostra Aetate? (sul dialogo con la religione ebraica: ?e se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo?) e la Costituzione ?Dei Verbum? (sulle Verità rivelate e sulla loro interpretazione) non lasci spazio ad alcuna polemica antiebraica: ?Se la Chiesa non ha reagito, vuol dire che non ne ha trovato i motivi? ? ha concluso Navarro. E se tutto ciò non bastasse, è sufficiente ricordare come sia stato lo stesso Giovanni Paolo II nelle scorse settimane a gettare ponti per il dialogo tra cristiani ed ebrei, ribadendo esplicitamente davanti al ministro degli esteri Israeliano Shalom il suo impegno per combattere ogni forma di antisemitismo all?interno della Chiesa cattolica.
Sembra lecito dunque, prima di andare a vedere il film, chiedersi se la Chiesa sia incappata nella trappola del marketing di Gibson, o abbia scelto di inserirsi del dibattito, fruendo, nel bene e bel male, di una enorme finestra di attenzione dei media sulla figura di Gesù Cristo in tempi dominati da parole come ?Imam?, ?Jihad?, ?Corano? e via dicendo. Molte e altre sarebbero le domande che una mega-produzione come quella di ?The Passion of the Christ?, sostenuta da decine di gruppi religiosi nel mondo, potrebbe porre. Ma per chiudere questo sguardo su ?tutto quello che non è il film vero e proprio? mi affido alle sagge parole di Mons. Lorenzo Albacete (americano di origini portoricane che vive a New York). Forte della sua cultura da ?meltin? pot? e consapevole dei compiti educativi della Chiesa verso i suoi fedeli, Albacete ha recentemente ricordato sul ?Foglio? che ?questo film rappresenta una grande sfida anche per la Chiesa, che dovrà riconoscere le preoccupazioni e spiegare tutto quanto ai fedeli?.