Ammiro la coerenza diplomatica e politica dimostrata dal sottosegretario De Mistura nell’affrontare il caso dei nostri Marò. Ha accompagnato il loro ritorno in India: è l’unico a poterlo fare a testa alta. E’ stato infatti capace di coniugare la fermezza per la tutela dei connazionali con le esigenze e motivazioni indiane, conscio che solo così poteva essere trovata la soluzione del difficile caso. Si trattava infatti, spesso lo dimentichiamo, dell’uccisione di due inermi pescatori indiani da parte di due militari italiani: di una ferita inflitta alla comunità di Kollam, all’India quindi, non all’Italia. Quando si deve porre rimedio a simili offese si dovrebbe chiedere innanzitutto scusa e poi usare la massima diplomazia, non l’arroganza. Ce n’è stata molta di arroganza, tale da offuscare le ragioni che l’Italia poteva giustamente presentare. E il clima politico italiano non può essere preso a giustificazione, perché andrebbe decisamente messo da parte quando si tratta di problemi a carattere internazionale.
Segno di arroganza è stata l’accoglienza come eroi, da parte delle più alte cariche dello Stato, dei due fucilieri. In condizioni normali, sarebbero stati subito consegnati alla giustizia militare per l’avvio delle indagini e degli accertamenti su quelle uccisioni che nessuno potrebbe definire azioni di guerra. Da alcuni anni, il doveroso rispetto per le Forze Armate è stato trasformato in vera e propria cieca venerazione, utile anche a giustificare e coprire, sempre e comunque, errori e limiti delle missioni all’estero. Segno di arroganza è stato anche l’aver preso decisioni delicate in modo frettoloso, superficiale, senza le necessarie analisi, cedendo a pressioni politiche di parte o alla ricerca di consenso.
I ministri degli Esteri e della Difesa non ne escono bene. Alla mediocrità che entrambi hanno dimostrato nella gestione di questa faccenda, si aggiunge per il ministro Di Paola anche una certa forma di viltà. Il suo ministero è stato infatti sempre implicato in ogni decisione, fin dal primo momento, quando si diede l’autorizzazione al ritorno della nave al porto di Kochi, e nella gestione della strategia di esaltazione dei due fucilieri, che ha certo contribuito a rendere più difficile il negoziato con l’India. Però, il ministro si è sempre tenuto in disparte, senza mai esporsi nell’assunzione delle responsabilità, nascondendosi dietro al collega Terzi di Sant’Agata, evidentemente più propenso all’ostentazione. Per chi è ministro, meschino è nascondersi, come meschino è voler continuamente apparire.
La questione dei Marò richiederà del tempo ma si risolverà, come era evidente fin dall’inizio. Si è voluto accelerare e forzare per motivi di piccola politica interna. E’ stato un grave errore, che può essere riparato lasciando fare ora alla buona diplomazia e alla buona politica, da parte italiana e da parte indiana, col tempo che sarà necessario.
Rimane il fatto che la comunità di Kollam è stata ferita. Lo si è dimenticato troppo presto. Un gesto italiano verso quella comunità di piccoli pescatori, verso le loro tante vedove, date le disgrazie che si susseguono in mare aperto, che cercano di sopravvivere con la lavorazione del pescato, sarebbe un gesto di riconciliazione, rispetto, cooperazione e un segnale politico di grande utilità. Sarà capace l’Italia, con un po’ più di intelligente umiltà, di ricucire e ricostruire rapporti umani con la comunità dei pescatori di Kollam? La risposta dovrebbe essere facile, scontata e immediata, ma – così come vanno le cose da noi – ci sarà chi troverà il modo per ritenerla impossibile o considerarla inopportuna.