La strameritata quanto sofferta vittoria degli azzurri ai mondiali di calcio in Germania ha riempito di vanto il cuore di tutti gli italiani, tifosi e non tifosi, amanti del calcio e apostati del più famoso e praticato sport del mondo. Ma questa vittoria meravigliosa, per giunta arrivata così inaspettatamente, rischia paradossalmente di essere soltanto uno squillo di tromba dell?orgoglio nazionale nel più vasto panorama della profonda crisi che vive il nostro calcio. E purtroppo, come previsto, lo svolazzare planetario di bandiere tricolore e la gioia immensa che ha travolto tutto e tutti in un crescendo inarrestabile sono durate fin troppo poco, un solo e splendido mese, assolutamente insufficiente a placare gli animi sofferenti di tutti quegli italiani che per piacere o per lavoro dal calcio dipendono.
Risolvere il problema del marcio all?interno del calcio ovviamente non è cosa semplice, visto che gli interessi economici che gravitano intorno alla fabbrica del pallone sono immensi, ed ogni decisione che è stata e che verrà ancora presa non potrà mai essere quella giusta e definitiva.
Quotazioni in borsa, diritti televisivi, passaggi radiofonici, incassi dalle scommesse e dai giochi a pronostici, incassi dagli stadi, abbonamenti a Sky, La7 e Mediaset, stipendi agli addetti ai lavori (calciatori, dirigenti, procuratori, ecc.), vendite dei giocatori, diritti UEFA e FIFA, vendite dei giornali sportivi, vendita gadgets e di quanto altro ne derivi da questo immenso circo mediatico, fanno si che il calcio nel suo complesso si attesti tra le prime dieci più importanti industrie italiane.
La soluzione della crisi, pur se modulata dagli ovvi interessi del caso, è chiaro che poteva essere solo un repulisti generale, più o meno profondo, con punizioni esemplari degli attori e delle squadre principalmente implicate. Una soluzione che come al solito però non ha tenuto conto del corpo fondante e reggente del sistema calcio: il tifoso, unico elemento base di questo business, punto focale determinante per il sostentamento, e non solo morale, dell?intero sport italiano. Il tifoso, nonché consumatore, con il suo investimento costante di denaro, tempo e fegato, pur supportando per l?arco di un?intera vita, moralmente ed economicamente, le fatiche della sua squadra del cuore e di tutto l?indotto che ne gira intorno, non ha nessun diritto in merito. Anche se c?è da augurarsi che al più presto si associno come consumatori di categoria e comincino a pretendere di avere voce in capitolo a costo di applicare lo sciopero del tifoso. Immaginate cosa accadrebbe se per un mese o magari un anno nessuno comprasse più i giornali sportivi, nessuno andasse più allo stadio, nessuno rinnovasse l?abbonamento a Sky, esisterebbe ancora il calcio?
In ogni modo, tra palloni e pallonari la crisi è ormai al giro di boa, le punizione sono state inflitte e gli attori stanno procedendo con i ricorsi. E comunque andrà a finire questa vicenda il calcio miliardario saprà anche questa volta come consolarsi e tutta la faccenda verrà ancora una volta pagata dai soliti tifosi che inesorabilmente continueranno a fare abbonamenti e a comprar giornali sportivi, rimettendoci oltre che nel portafoglio anche in salute, ritrovandosi, loro malgrado, a tifare per una squadra punita con la retrocessione in una serie inferiore.