A rendere più o meno significativo il contenuto di un’affermazione, di una proposta o di un commento è il contesto nel quale quel contenuto viene affermato, proposto, commentato. Uno stesso contenuto può apparire prevedibile e scontato -e dunque meno rilevante e significativo- in un determinato contesto, o -al contrario- sorprendente e provocatorio se in contrasto con i canoni linguistici del contesto in cui viene proposto. 

Clamoroso il caso del breve trafiletto dell’Osservatore Romano (QUI) rilanciato, ritwittato e ripubblicato migliaia di volte, nel quale il direttore del giornale -con elegante ironia- commenta l’esibizione di un concorrente di Sanremo che, “volendo essere a tutti i costi trasgressivo”, si era “rifatto all’immaginario cattolico” con un inatteso: “Niente di nuovo. Non ci sono più i trasgressori di una volta”!. A rendere sorprendente tale risposta è il fatto che ad esibirla sia proprio l’Osservatore Romano, cioè un soggetto talmente connotato da essere stato esplicitamente chiamato in causa che -invece del prevedibile pistolotto scandalizzato- replica serenamente ribaltando il concetto di “trasgressione” e citando come esempio il caso diametralmente opposto di quando -trent’anni fa- in un contesto totalmente laico [la commemorazione di Freddie Mercury] inaspettatamente David Bowie si inginocchiò e recitò il Padre nostro nello stadio di Wembley.

A conferma di come sia il contrasto con il contesto a far apparire maggiormente visibile e significativo un contenuto mi piace portare un altro esempio preso sempre dagli eventi di Sanremo (del resto -si sa- nella settimana del festival in Italia non si parla d’altro; al massimo si elegge un presidente della repubblica, si conferma un governo, si inaugura un’olimpiade, si seguono silenti gli indizi una possibile guerra mondiale, ma il tutto con discrezione…). 

Sanremo è tradizionalmente un contesto “leggero”: leggera è la musica, leggero lo spettacolo, leggeri gli ospiti, i comici, i testi. In questo contesto ci si aspettano dagli ospiti interventi allineati sul piano della leggerezza, non necessariamente superficiali ma -di solito- alla larga da temi più seri ed impegnativi. 

Forse ancor di più se l’ospite dello spettacolo è un attore di teatro (Gianluca Gori) noto per la sua interpretazione di un personaggio femminile di fantasia (Drusilla Foer) che abitualmente ironizza sui vezzi di una nobildonna toscana. In questo contesto, più satira di costume che analisi sociale, spuntano inattese riflessioni di tutt’altro spessore: “Tutti noi siamo capaci di notare l’unicità dell’altro e tutti noi pensiamo di essere unici. Facile, no? Per niente. Perché per comprendere la nostra unicità è necessario capire di cosa è composta, di che cosa è fatta, di che cosa siamo fatti noi: le ambizioni, i valori, le convinzioni, i talenti. E sì, però i talenti vanno allenati, vanno seguiti; delle proprie convinzioni bisogna avere la responsabilità; delle proprie forze bisogna avere cura, insomma non è facilissimo. Non è affatto facile entrare in contatto con la propria unicità. Abbracciare la nostra unicità, aprirsi all’unicità dell’altro ed uscire da questo stato di conflitto che ci allontana.”

Qui la trasgressione non c’è affatto: a stupire è la sua totale assenza, proprio là dove sarebbe stato prevedibile aspettarsela. Spero si tratti di un nuovo modo di stupire: io della trasgressione non sento affatto la mancanza e spero che nessuno sospetti che dipenda dall’età.