La circolare del preside del Liceo Scientifico di Avezzano, nella quale si invitavano le ragazze a non vestire i pantaloni a vita bassa, ha interessato la cronaca nazionale ed ha suscitato le reazioni più disparate.
Molto interessante mi è sembrato il duplice intervento di Marco Lodoli su La Repubblica di Lunedì 18 c.m. e di mercoledì 20. Lodoli è un insegnante di una scuola superiore di Roma.
Vi allego i due interventi.
LA VITA BASSA A QUINDICI ANNI
(Marco Lodoli su La Repubblica del 18 Ottobre 2004)
Insegnare a scuola mette in contatto con le verità del giorno: è come raccogliere uova appena fatte, ancora calde, magari con il guscio un pò sporco. Gli storici interrogano i secoli, ma in una classe di una qualsiasi periferia italiana si ascolta il battere dei secondi. Ebbene, oggi una ragazza di quindici anni, un?allieva che non aveva mai rivelato una particolare brillantezza, ha fatto una riflessione che mi ha lasciato a bocca aperta. Eravamo negli ultimi dieci minuti di lezione, quelli che spesso si spendono in chiacchiere con gli alunni.
La ragazza raccontava do volersi comprare un paio di mutande di Dolce e Gabbana, con quei nomi stampati sull?elastico che deve occhieggiare bene in vista fuori dai pantaloni a vita bassa. Io le obiettavo che lungo la Tuscolana, alle sei di pomeriggio, passeggiano decine e decine di ragazze vestite così. Non è un po? triste ripetere le scelte di tutti, rinunciare ad avere una personalità, arrendersi a una moda pensata da altri? E da bravo professore un pò pedante le citavo una frase di Jung: «Una vita che non si individua è una vita sprecata». Insomma, facevo la mia solita parte di insegnante che depreca la cultura di massa e invita ogni studente a cercare la propria strada, perché tutti abbiano una strada da compiere. A questo punto lei mi ha esposto il suo ragionamento, chiaro e scioccante: «Professore, ma non ha capito che oggi solo pochissimi possono permettersi di avere una personalità? I cantanti, i calciatori, le attrici, la gente che sta in televisione, loro esistono veramente e fanno quello che vogliono, ma tutti gli altri non sono niente e non saranno mai niente. Io l?ho capito fin da quando ero piccola così. La nostra sarà una vita inutile. Mi fanno ridere le mie amiche che discutono se nella loro comitiva è meglio quel ragazzo moro o quell?altro biondo. Non cambia niente, sono due nullità identiche. Noi possiamo solo comprarci delle mutande uguali a quelle di tutti gli altri, non abbiamo nessuna speranza di distinguerci. Noi siamo la massa informe. «Tanta disperata lucidità mi ha messo i brividi addosso. Ho protestato, ho ribattuto che non è assolutamente così, che ogni persona, anche se non diventa famosa, può realizzarsi, fare bene il suo lavoro e ottenere soddisfazioni, amare, avere figli, migliorare il mondo in cui vive. Ho protestato, mettendo in gioco tutta la mia vivacità dialettica, le parole più convincenti, gli esempi più calzanti. ma capivo che non riuscivo a convincerla. Peggio: capivo che non riuscivo a convincere nemmeno me stesso. Capivo che quella ragazzina aveva espresso un pensiero brutale, orrendo, insopportabile, ma che fotografava in pieno ciò che sta accadendo nella mente dei giovani, nel nostro mondo. A quindici anni ci si può già sentire falliti, parte di un continente sommerso che mai vedrà la luce, puri consumatori di merci perché non c?è alcuna possibilità di essere protagonisti almeno della propria vita. Un tempo l?ammirazione per le persone famose, per chi era stato capace di esprimere – nella musica o nella letteratura, nello sport o nella politica – un valore più alto, più generale, spingeva i giovani all?emulazione, li invitava a uscire dall?inerzia e dalla prudenza mediocre dei padri. Grazie ai grandi si cercava di essere meno piccoli. Oggi domina un?altra logica: chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori per sempre. Chi fortunatamente ce l?ha fatta avrà una vita vera, tutti gli altri sono condannati a essere spettatori e a razzolare nel nulla. Si invidiano i vip solo perché si sono sollevati dal fango, poco importa quello che hanno realizzato, le opere che lasceranno. In periferia ho conosciuto ragazzi che tenevano nel portafoglio la pagina del giornale con le foto di alcuni loro amici, responsabili di una rapina a mano armata a una banca. Quei tipi comunque erano diventati celebri, e magari la televisione li avrebbe pure intervistati in carcere, un giorno. Questa è la sottocultura che è stata diffusa nelle infinite zone depresse del nostro paese, un crimine contro l?umanità più debole ideato e attuato negli ultimi vent?anni. Pochi individui hanno una storia, un destino, un volto, e sono gli ospiti televisivi: tutti gli altri già a quindici anni avranno solo mutande firmate da mostrare su e giù per la Tuscolana e un cuore pieno di desolazione e di impotenza.
CHE PAURA ESSERE NESSUNO
(Marco Lodoli su La Repubblica del 20 Ottobre 2004)
Mercato, concorrenza, competitività: che i migliori emergano, che i forti prevalgano, che le belle si mostrino. Anche una ragazzina dl quindici anni riceve ogni momento, in modo diretto o subliminale, questi messaggi dal piccolo schermo o dai cartelloni pubblicitari che invadono lo sguardo. E magari questa ragazzina vive in una borgata oltre il Raccordo, è alta un metro e cinquantotto ed è un pò rotonda, frequenta una scuola professionale dove non c?è un computer né una biblioteca, e a casa non ha libri ma solo un televisore sempre acceso, e i suoi amici sono quelli della bisca in piazzetta. Magari a casa sente spesso il padre lamentarsi perché la vita è sempre più dura e più cara, mentre la madre tace preoccupata. Lei è intelligente e sensibile, e di colpo un giorno, accasciata sul divano davanti a quel televisore, capisce come funziona il nostro mondo. Pochi vincono e molti soccombono. Pochi avranno soldi, primi piani, applausi e molti avranno una vita anonima e senza luce. E lei amaramente intuisce che non sarà tra i pochi fortunati. Nella competizione spietata lei sarà tra i perdenti, gli esclusi, gli spettatori delle altrui fortune. Ha sufficiente coraggio e lucidità per permettersi un pensiero così terribile. E riesce a fare anche un altro passo in avanti nella sua atroce riflessione. Intuisce che solo i vincenti possono permettersi una personalità originale, opinioni da esprimere perché c?è sempre qualcuno che le sta ad ascoltare, desideri e capricci. I potenti possono tutto, prendere, lasciare, sproloquiare, battere i piedi, gli impotenti non possono niente. Di questi tempi anche una personalità e un carattere sono un lusso per pochi. Per tutti gli altri, per le infinite persone che vagano attorno a quel castello incantato, esiste solo il consumo impersonale. Mutande firmate, partite di calcio, pantaloni oggi a vita bassa e domani chissà come, piercing e birrette, pay tv e ipermercati dove riempire il carrello, se ci si riesce. La ragazzina vede chiaro, capisce l?aria che tira, dice la verità. Di sociologia non sa nulla, forse non comprende nemmeno il termine, ma della nostra società ha compreso molto. Non è certo una rivoluzionaria, anzi il suo sogno segreto sarebbe di far parte della Grande Festa, di avere un posto attorno a quella tavola sempre imbandita e una telecamera che la inquadri anche mentre dorme. Ma non ci conta per niente. Non conta nemmeno più sulle sue forze, non ha troppa voglia di studiare e sacrificarsi per diventare infermiera o maestra d?asilo, perché secondo lei sarebbe comunque una vita grama, lontana dal castello.
Cesare o nessuno, dunque nessuno. Un nessuno che rischia di passare la vita tra milioni di altri nessuno, lì sul bordo tra le vetrine della Tuscolana e il nulla. Questa è la situazione che in dieci minuti mi è stata raccontata da una ragazza allegra e malinconica, Intelligente e pigra. Questa è l?infelicità a cui il nostro mondo sta consegnando tanti ragazzi e tanti adulti. Molti ci stanno dentro senza accorgersene, tra psicofarmaci e alcol, depressioni e rabbia. Ma alcuni, per fortuna, cominciano a capire come funziona la macchina infernale. Come la mia alunna, la osservano con attenzione, la studiano, cominciano a smontarne i pezzi.
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Amedeo Piva