Vi è mai capitato di leggere un libro e provare ad ogni pagina un crescente senso di rimorso, un fastidioso peso sulla coscienza? Con questo libro di Jamaica Kincaid, scrittrice nata ad Antigua, difficilmente riuscirete ad evitarlo specialmente se, durante i vostri viaggi, non sempre vi siete preoccupati di capire a fondo la realtà locale. È al turista che si rivolge per primo Jamaica. Al turista che, giunto ad Antigua, attraversa distrattamente la città per precipitarsi verso il rassicurante lusso occidentale del suo albergo. Le insidiose riflessioni, che gli affiorano nell?osservare le tante bizzarre contraddizioni lungo la strada verso le spiagge bianche non devono turbare il suo meritato riposo. Egli scaccia via ogni pensiero molesto, reprime la spiacevole sensazione che Antigua non sia soltanto quell?esotico paradiso fatto su misura per il suo relax. Qualcosa però, a poco a poco, furtivamente ma inesorabilmente si insinua nella sua mente: il disagio di essere guardati dalla gente per quello che si è, un turista bianco occidentale in vacanza in un’isola tropicale. Vano è il tentativo di far dimenticare alla gente locale questa condizione. Non il denaro, non la buona educazione o il rispetto verso gli indigeni riusciranno a cancellare lo scandalo di questa verità. Perché Antigua “non è l’isola che vedrai tu da turista”, quell’isola non esiste più. Così l?autrice svela d?improvviso il dramma che si cela dietro i luccicanti dépliant delle agenzie turistiche. Un urlo di rabbia e di dolore si innalza tra le onde del mar dei carabi, denunciando le atroci ferite di una società culturalmente distrutta dalla colonizzazione. Inizia una incontenibile invettiva contro gli invasori britannici, il loro ottuso disprezzo verso il popolo indigeno, i vergognosi crimini commessi in nome della presunta superiorità, lo sconsiderato sfruttamento di ogni risorsa umana e naturale. Pur scavando tra le macerie, nulla sembra essersi salvato da questa calamità peggiore di ogni catastrofe naturale. Il colonialismo ha rapinato gli abitanti di Antigua delle proprie tradizioni, li ha resi orfani delle proprie divinità e, cosa ancor più dolorosa, li ha privati di una lingua; quale amara ironia essere costretti a descrivere le nefandezze dei dominatori attraverso la loro stessa lingua, una lingua che potrà esprimere solo le loro virtù e non la loro crudeltà.
Ma tra le responsabilità storiche degli invasori c?è anche quella indiretta di avere generato la classe politica corrotta che ha preso in mano le sorti sociali ed economiche dell?isola in seguito all?indipendenza ottenuta nel 1981. L?imperversare di questi nuovi padroni ha reso infetta la ferita aperta dal colonialismo, soffocando ogni speranza di riemergere dal marciume che inquina ogni angolo di Antigua, inesorabilmente infestata da gioco d?azzardo, prostituzione e traffico di droga. Si delinea così un insolito affresco dell?isola, in cui la bellezza e la potenza di una natura rigogliosa in stridente contrasto con la sofferenza e la povertà dei suoi abitanti, rende ancora più evidente la drammatica incoerenza tra ciò che gli occhi vedono e quello che gli uomini vivono.
In questa lucida narrazione nulla riesce a placare l?ira dell?autrice che pone da subito la questione su un piano personale. La sua non è un?analisi distaccata e anonima basata solo su documenti storici ma una testimonianza diretta del proprio vissuto giovanile. Ed è proprio questo suo coinvolgimento emotivo che rende impossibile al lettore di rimanere indifferente. La potenza del linguaggio, preciso e sferzante ma sempre abilmente controllato, diviene un arma per ricordare il dramma del dominio europeo in una piccola isola oggi ridotta a banale meta turistica.
Recensione di un saggio sulla realtà di Antigua: un affresco insolito dove la bellezza stride con la sofferenza