Con troppa frequenza in questi ultimi tempi sentiamo dire che, di fronte a innegabili difficoltà economiche del nostro Paese, bisogna contrarre la spesa nel sociale e ridurre le aspettative di Welfare.
L?impegno per il Welfare, al contrario, deve aumentare quando ci sono le difficoltà. Sono questi i momenti che hanno bisogno di maggior impegno, attenzione, proposte e interventi.
Ritengo che due siano i pilastri intorno ai quali costruire un progetto di Welfare.
Il primo centra la sua attenzione sulla ?persona?, in particolare sui soggetti più deboli. Nel CeIS è quello che chiamiamo ?Progetto Uomo?.
Il secondo pilastro è costituito dagli operatori. Sappiamo bene quanto è fondamentale il ruolo dell?operatore, e quanto dipenda da lui il successo dei nostri interventi. L?operatore sociale non è improvvisato, ha una difficile professionalità che va costantemente aggiornata.
Deve avere l?animo del ?volontario permanente? ma anche le sicurezze di un professionista. Severità nella selezione, formazione permanente e giusta retribuzione sono le caratteristiche che devono guidare nella gestione del personale. Si tratta di interventi costosi ma indispensabili. Attorno a queste persone si costruisce il futuro Welfare. Ma come può un operatore trovare l?indispensabile serenità nell?operare in settore così delicato quando sente tutto il peso di una insicurezza futura per sé e la propria famiglia?
In questi giorni, la riduzione dei trasferimenti destinati alla spesa sociale previsti dalla nuova Finanziaria riporta drammaticamente alla ribalta la questione della qualità ed economicità dei servizi sociali.
Si corre il rischio di abbassare impegno e professionalità nella società civile. Di trasformare i tanti giovani che dedicano il loro tempo all?aiuto del prossimo con amore e dedizione in altrettanti precari. Quello che vedo è un paradosso insopportabile: non operatori forti e motivati, in grado di aiutare chi ha smarrito le proprie certezze, ma persone impossibilitate per ragioni economiche a sviluppare un proprio progetto di vita e per questo alla lunga deboli ed esse stesse demotivate.
I princìpi su cui si basano le pratiche di esternalizzazione di alcuni servizi da parte della Pubblica Amministrazione rischiano di venir meno e l?appalto a soggetti del privato sociale, da meccanismo virtuoso si trasforma in uno strumento per assicurare servizi a costi fortemente inferiori rispetto a quelli che avrebbe dovuto sostenere il settore pubblico: gare al ribasso, creazione di nuove clientele, ricerca di consenso politico derivante dall?assegnazione di finanziamenti mirati a tale obiettivo.
Peraltro l?Amministrazione esige rigore e qualità, assai meno pretese quando essa stessa eroga gli stessi servizi ed è in condizione di esercitare una fortissima pressione, fin quasi al ricatto psicologico, a causa della precarietà degli affidamenti.
Tra gli interlocutori, in particolare piccole cooperative, associazioni o altri soggetti talvolta formatisi ad hoc per un progetto, restare nei costi significa applicare forme contrattuali e modelli di lavoro basati sul precariato e sulla rotazione continua degli operatori. Tutto ciò nel più totale silenzio delle organizzazioni sindacali, che non hanno fin qui prestato attenzione alla necessità di garantire i lavoratori del sociale.
Non è accettabile l?ipocrisia di una certa politica sociale di facciata, per nulla interessata a come realmente vanno le cose.
Diventa pertanto necessario approfondire questo tema per promuovere la convinzione che le ?garanzie per gli operatori? sono la condizione indispensabile per il successo dei progetti e che l?obiettivo di migliorare la qualità di vita delle persone non può legarsi a forme di economicità esasperata.