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Quest’anno è bisestile e febbraio ha avuto 29 giorni anziché 28. Niente di nuovo, è così da oltre duemila anni, da quando Giulio Cesare -nel 46 avanti Cristo- cercò di mettere in ordine il caotico calendario romano. La vicenda non fu né semplice, né lineare e furono necessari -nel tempo- diversi altri aggiustamenti, il più incredibile dei quali riguarda papa Gregorio XIII il quale, per compensare un errore di calcolo protrattosi per secoli, decise di recuperare l’accumulo di dieci giorni tutti in una volta e stabilì che dopo venerdì 4 ottobre 1582 il calendario sarebbe saltato direttamente a sabato 15. I dieci giorni in mezzo, in un certo senso, è come se non fossero mai esistiti!
Dettagli e altre tecnicalità a parte, conosciamo fin dalle elementari questa “anomalìa”; non ci facciamo più neanche caso e trattiamo quel giorno in più come tutti gli altri. Del resto -lo sappiamo bene- malgrado l’apparenza non si tratta di un giorno “in più”, ma solo del “recupero” delle sei ore all’anno che abbiamo “accumulato” senza rendercene conto nei precedenti quattro anni.
Eppure, visto il nostro travagliato rapporto con il tempo, non sarebbe male se ci mettessimo tutti d’accordo per considerare quel giorno (uno ogni 1.460!) fuori da ogni conteggio, fuori da ogni obbligo, fuori da ogni convenzione: un tempo speciale totalmente libero per “staccare”, riflettere e fare il punto su noi, sul nostro tempo, e sul nostro inevitabile convivere nello stesso pianeta. Ci faremmo un regalo eccezionale, un regalo lungo un giorno che -mi piace crederlo- sarebbe prezioso per affrontare con maggiore lucidità e positività i successivi 1.460 fino al seguente “special day”.
Si tratta ovviamente di un irrealizzabile sogno ad occhi aperti, ma proprio a questo servono i sogni ad occhi aperti: ad immaginare qualcosa che non è e non sarà, ma nell’immaginarla ci costringiamo a descriverla, a darle corpo e contorni, a capire meglio ciò che davvero vorremmo essere, avere e fare, e quindi -nei limiti del possibile- a riformulare le nostre priorità.
Fine dell’attività onirica.
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Nella realtà non onirica giornali e telegiornali si fanno egregiamente carico di ricordarci perché Leibniz sbagliava a sostenere che “questo mondo è il migliore dei mondi possibili”; o forse nel 17° secolo il filosofo tedesco non poteva immaginare che -come se non bastassero gli affanni che ci toccano direttamente- un giorno a ciascuno sarebbero stati narrati quotidianamente gli affanni altrui, descritti -con dovizia di particolari- i più orrendi crimini commessi in giornata, mostrate le guerre vicine e lontane, ipotizzate le peggiori prospettive, alimentate le paure più remote e inconfessate… così che, se ancora qualche ingenuo volesse a tutti i costi convincersi che “questo mondo è il migliore dei mondi possibili”, dopo un paio di telegiornali desisterebbe dall’impresa.
Non so se davvero in altri tempi ci fossero -rispetto ad oggi- meno tragedie familiari, meno situazioni sociali difficili, meno liti politiche, meno guerre e meno catastrofi…; ne dubito, ma di certo la quantità di informazioni, l’impatto delle modalità con cui venivano comunicate, la capillarità della distribuzione e la capacità di recepirle erano enormemente ridotte. Non saprei dire se fosse meglio la situazione di allora o sia meglio quella di oggi. Certamente poter essere informati puntualmente di quanto avviene è una grande opportunità che ci permette di sapere, farci un’opinione, reagire, partecipare…; ma la quantità non è tutto: altro è essere informati, altro è essere travolti. Dobbiamo saper scegliere tra contenuti e contenitori, riuscire a capire, imparare a contestualizzare; diversamente quella che ci sembra informazione diventa solo un’abbuffata di dati e una continua fonte di inquietudine.
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Forse era preferibile l’attività onirica… e, comunque, quell’idea di uno “special day”, almeno uno ogni 1.460 giorni, continua a sembrarmi una buona idea.