Le domeniche per don Kasimir non sono giornate di riposo, tutt?altro; per don Kasimir le domeniche ? ogni domenica ? sono giornate di lavoro, anzi di annuncio. In questo angolo di mondo, Gradiska, la chiesa si riempie a malapena ogni domenica alle dieci e mezza del mattino, e tutti, anziani (molti) e giovani ( pochi), aspettano proprio lui.
Don Kasimir questo lo sa, ed è con questa consapevolezza che ogni domenica indossa i paramenti in sagrestia, entra in chiesa e celebra la santa messa. Con impegno, concentrazione e autorevolezza consegna anche al più piccolo gesto un valore, religioso e umano, conscio ? dall?alto di quell?altare ? che quei pochi volti, quegli occhi timidi e quelle ancor più sommesse orecchie aspettano proprio questo: una parola, un conforto, ancor di più una speranza. Già, perché in questo angolo di mondo ? così vicino e al tempo stesso così lontano dal nostro ?belpaese? ? la parola ?speranza? è pronunciata a fatica, quasi con imbarazzo, in molti casi dimenticata. Difficile parlare di speranza ? ci dice don Kasimir, mentre prendiamo un caffè (anzi una ?kava?) con tutta la comunità dopo la celebrazione ? difficile parlare di futuro, di fede quando tutto qua sembra dire il contrario….il lavoro non c?è, o meglio c?è solo per alcuni; i giovani se ne vanno, in pochi casi ritornano e qui rimangono solo gli anziani oppure chi è troppo povero anche per andarsene. Sono parole grevi quelle di don Kasimir, ma i suoi occhi dicono altro. Non si arrende don Kasimir, anche se la stanchezza talvolta offusca il suo volto aperto e profondo, anche se la tosse gli raschia la gola e gli impedisce di fare un discorso senza interruzioni; non si arrende don Kasimir mentre ci parla in questo strano idioma fatto di latino, tedesco, croato e italiano, un ?esperanto? europeo, un linguaggio caotico e misterioso che però va lontano, che arriva nel profondo, scavando nel cuore e nella ragione di chi non ha conosciuto gli orrori della guerra, di chi non conosce i disagi della povertà, di chi non sa ma che ora lentamente, a fatica, inizia a capire. Ci guarda sorridendo don Kasimir, ci invita a brindare con un goccio di rakja e ci racconta le storie degli uomini e delle donne di Gradiska: lui ? e indica un anziano sul cui volto ogni ruga sembra raccontare una storia ? lui prende settantacinque euro di pensione al mese; i suoi figli però, che lavorano fuori, gli mandano il resto per vivere. Questa è la situazione, queste le condizioni in cui siamo ? aggiunge, usando un insolito plurale majestatis ? chiamati a lavorare. E il nostro sguardo, impietrito e imbarazzato, il nostro sguardo di europei occidentali si abbassa. Don Kasimir invece non abbassa il suo , tantomeno guarda indietro: un pranzo veloce e poi via, in auto verso le colline sopra Gradiska per celebrare un?altra messa in qualche piccola chiesa dimenticata e riaperta la domenica solo per lui; come a Celinovac, colline verdi, boschi silenti e quattro anime trepidanti in una chiesa accanto ad una quercia. Senza tradire un solo segno di stanchezza, don Kasimir si veste, sale sul piccolo altare, e inizia : inizia a celebrare, a raccontare, a testimoniare. Per tutti la domenica è un giorno di riposo, ma per don Kasimir no, la domenica è il suo giorno: don Kasimir lo sa bene, riposatevi oggi,sembra dire mentre allarga le braccia, ascoltate con le orecchie e con il cuore quello che ho da dirvi; non vi preoccupate, oggi lavoro io.
Diario di un viaggio in Bosnia ? prima parte