Egregio Signor Prefetto,
da circa 10 anni mi occupo di richiedenti asilo e rifugiati in Italia e a Roma, come responsabile dell’Associazione Centro Astalli , ramo italiano del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati.
Ho letto con preoccupazione il resoconto della riunione del Comitato Provinciale per la Sicurezza riportato ieri da vari quotidiani perché temo che a furia di sottolineare l’uso strumentale dell’asilo politico, si stia erodendo un diritto che fino ad anni recenti ha caratterizzato la civiltà europea.
A me sembra che sia stia trasmettendo il messaggio che non c?è più bisogno di protezione perché le persone che arrivano in Italia o sono “soltanto” migranti economici o addirittura delinquenti in cerca di coperture legali.
Purtroppo nella nostra esperienza non è così. Proprio i rom rumeni a cui si fa riferimento negli articoli di ieri, sono vittime di grave discriminazione nel loro paese, che si traduce nell’assoluta impossibilità di sopravvivere con un minimo di dignità e rispetto. Alcuni hanno subito vere e proprie persecuzioni (casa bruciata, detenzione abusiva, maltrattamenti , minacce, ecc.), frequentemente perpetrate dalla stessa polizia di stato. E, accanto a rom rumeni che vengono rimpatriati, ve ne sono altri che invece vengono riconosciuti rifugiati dalla nostra commissione centrale, acquisendo così pieno diritto a vivere in Italia.
Forse varrebbe la pena anche di ricordare che lo scorso anno la Corte dei Diritti Umani di Strasburgo ha obbligato il Comune di Roma ad accogliere di nuovo e risarcire due famiglie rom rispedite nel loro paese con una brutale operazione di polizia. Si trattava infatti di persone che avevano diritto a vivere in Italia e che in forza delle convenzioni internazionali non potevano essere rimpatriate.
Tra le persone che il Centro Astalli e le altre associazioni accolgono non è raro trovare vittime di tortura provenienti da molto paesi del Medio Oriente (Iraq, Turchia, Iran) e dell’Africa (Repubblica democratica del Congo, Sudan, Togo, Eritrea, ecc.). Anche a queste persone non viene risparmiato l’epiteto di “clandestini” e l’umiliazione di essere trattati come una minaccia all’ordine pubblico.
Tutti siamo d’accordo, evidentemente, a che spacciatori e sfruttatori siano duramente colpiti. Ma collegare il discorso sull’asilo politico sempre e soltanto ai temi dell’ordine pubblico mi pare che non renda giustizia a chi fugge dopo aver subito violenze e umiliazioni a la quale la Costituzione italiana assicura protezione.
Va inoltre detto che in Italia il livello di garanzie fondamentali dei richiedenti asilo e dei rifugiati è davvero minimo, in assenza (unico paese europeo) di una legge che regoli tutta la materia in termini di assistenza e di procedura.
E’ anche chiaro che la crescita di un uso non appropriato della richiesta di asilo politico è strettamente collegata alla difficoltà di venire in Italia per lavorare. Attualmente un immigrato economico non ha di fatto la possibilità di entrare nel nostro paese per cercare lavoro e pur di avere un permesso di soggiorno che lo tuteli almeno temporaneamente dall’espulsione, inoltra una richiesta di asilo alla questura che non ha speranze di successo. Se questa persona potesse legalmente cercare lavoro, non utilizzerebbe lo strumento dell’asilo politico.
Il tema prioritario del dibattito sull’immigrazione e sull’asilo politico a me non sembra essere quello dell’ordine pubblico, che riguarda soltanto una piccola porzione di immigrati delinquenti, ma quello dell’integrazione che investe invece la totalità degli immigrati e dei rifugiati, che sono e saranno nuovi cittadini. Se per l’integrazione si spendesse anche solo il 10% di quello che si spende per la sicurezza, sarebbe una cifra di tutto riguardo che aiuterebbe non pochi stranieri ad essere riconosciuti per l’apporto che danno al nostro paese in termini di lavoro e cultura.
P. Francesco De Luccia
Associazione Centro Astalli – Via degli Astalli 14/a 00186 Roma
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