Onorevole Enrico Letta, Veltroni ha ammesso che nei sondaggi il Pd è sceso al 25 per cento. Il progetto è fallito?

«Mi rifiuto di entrare in questa logica. Non dobbiamo vivere con la sindrome dei sondaggi, fanno solo venire il mal di mare. Lavoriamo sulla concretezza: fra pochi giorni c’ è il banco di prova della Sardegna, poi amministrative ed Europee. Non esiste una soglia minima di sopravvivenza del Partito democratico. Lo abbiamo costruito con l’ obiettivo di durare nel tempo».

Veltroni ha anche detto che dopo il Circo Massimo il Pd era al 32, poi è crollato. Per il caso Villari, i guai a Napoli e Pescara, i vecchi dualismi con D’ Alema…

«Questo è un elenco di problemi congiunturali. La verità è che il Pd ha un male oscuro, molto più profondo».

Quali sono i sintomi?
«Tanti. Il primo è un’ ansia da prestazione, una fretta che ci portiamo dietro dall’ inizio quando abbiamo fatto subito il segretario e poi il partito. Togliamoci l’ orologio: il Pd non è roba che dura lo spazio di una stagione politica. Abbiamo preso un impegno con i tre milioni e mezzo delle primarie, non dobbiamo tradirlo. Un’ altra medicina è de-romanizzare il partito, oggi è troppo romano-centrico. Dobbiamo dare reale autonomia ai dirigenti e agli amministratori locali. A loro toccano le decisioni su alleanze, programmi, candidati».

Vuole consegnare il partito ai “cacicchi”?
«Cacicchi è una brutta parola. Ma viva Chiamparino, viva Cacciari e Soru, Dellai, Penati, Variati. Sono persone con i piedi piantati nel territorio e aiutano il Pd. Per de-romanizzare il partito occorre allargare gli spazi di partecipazione non restringerli. Con leggi elettorali che privilegino il voto di preferenza o i collegi uninominali, cioè l’ esatto opposto delle liste bloccate».

Vale anche per la legge europea?
«Certo. Il Pd non può vivere grazie alle stampelle degli sbarramenti. Bisogna passare dal voto utile al voto convinto».

Quindi del male oscuro fa parte lo schema bipartitico difeso da Veltroni.
«Sul bipartitismo italiano dobbiamo fare un’ analisi onesta. Veniamo da 15 anni in cui l’ Italia è stata divisa in due come una mela: centrodestra e centrosinistra. Mi sento di dire che questo schema non esiste più. Esiste invece una divisione sociale tra elettorato progressista, moderato e populista che valgono ognuno un terzo dell’ elettorato. Se ci rinchiudiamo dentro le parole d’ ordine progressiste non torneremo mai al governo. Vogliamo essere un partito temporaneamente all’ opposizione o una forza strutturalmente minoritaria? Nel secondo caso dobbiamo rendere soddisfatti di sé gli elettori progressisti, richiamarci alla piazza, agli scioperi generali, alla diversità morale per vivere contenti e perdenti. Ma se scegliamo la prima opzione cominciamo a lavorare per sedurre l’ elettorato moderato. Deve farlo il Pd e dobbiamo aiutare l’ Udc a fare altrettanto legandola sempre più a noi. Se ci rinchiudiamo nella sola nicchia progressista facciamo un regalo a Berlusconi».

Il 33 per cento delle politiche una nicchia?
«Ha ragione, la parola nicchia è sbagliata. Ma sempre minoranza è».

È vero che una parte del Pd, fra gli altri lei e Rutelli, guarda a un nuovo centro?
«Non saprei. So per certo che il discorso non mi riguarda. Però quando vedo quelli che storcono il naso di fronte a un accordo di prospettiva tra Pd e Udc, mi preoccupo seriamente. Abbiamo la necessità di dialogare in maniera strutturale con i centristi, non di metterli sullo stesso piano di Di Pietro. Il Pd continua a tenere da parte il tema delle alleanze come se non esistesse. Invece esiste, eccome».

Insomma, il messaggio è: caro Walter tutto sbagliato, tutto da rifare.
«No. Lo voglio dire con forza. Il male di cui parlo non è imputabile a Veltroni e Franceschini. Si comportano in modo stra-corretto. Ce la mettono tutta, ce la stiamo mettendo tutta. Ma è giusto dire quello che si pensa senza temere il reato di lesa maestà. Il medico pietoso fa morire il malato».

Perché la diversità morale fa parte del male?
«Adesso siamo noi stessi a distribuirci la patente di moralità. È il momento di entrare nella logica per cui sono i cittadini a giudicarci. Non possiamo definirci moralmente migliori e diversi dagli altri. È un passaggio culturale indispensabile».

Viva Soru, viva Dellai. Ma il loro disegno non mina il progetto del Partito democratico?
«Quello che dicono Soru e Dellai è perfettamente compatibile con il Pd. Chiedono solo un reticolo di alleanze più largo, nuovo e nessuno può pensare che un partito del 33 per cento ce la fa da solo. Anche la formula della vocazione maggioritaria va radicalmente rivista».

Si candiderà di nuovo alla guida del Pd?
«Non è tema in agenda, ne discuteremo al congresso. Oggi lavoro bene con Veltroni e Franceschini, dentro il Pd e per il Pd. Per spostarlo verso posizioni più moderne, in grado di farci vincere le elezioni».

Da : Repubblica ? 15 gennaio 2009
soffriamo di male oscuro