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Il vistoso cerchietto rosso con scritto sotto “Voi siete qui” è quello che cerchiamo sulle mappe quando ci siamo persi. Che ci troviamo in un museo, in un quartiere che non frequentiamo, in una città che non è la nostra, la prima cosa è capire dove siamo. Se non sappiamo dove siamo non riusciamo ad orientarci, a decidere in che direzione muoverci, a situarci rispetto al percorso che intendiamo fare, a farci un’idea fondata del cammino fatto e di quanto resta da fare.
Venerdì scorso il Censis ha presentato il suo 56° rapporto annuale sulla situazione sociale del paese ed è partito proprio dalla domanda “Dove siamo?”: “Affrontare di nuovo la domanda con la quale la nostra cultura occidentale ci interpella fin dalle origini sembra essere un bisogno profondo della società italiana. Tre anni, quattro crisi profonde e diversi improvvisi cambi di direzione giustificano la necessità di ritrovarsi, di ridisegnare vie confluenti di risalita dei consumi e del benessere, di riempire i vuoti lasciati dal mancato sviluppo. Il mondo è diverso, l’embrione di una fase nuova non ancora si è messo in moto. Da qui un interrogativo che esprime la consapevolezza che tutto è cambiato e la coscienza che, se la classe dirigente non sa affrontare il “dove siamo”, non potrà avere cura delle nostre cose e del Paese.”
Il rapporto rileva che il nostro paese “non regredisce, ma non matura”. Condivido questa preoccupazione e penso che il pericolo maggiore che corriamo è quello di fermarci in un costante stato di attesa (che si superi l’emergenza, che finisca la guerra, che le cose si “ripristinino”…) per decidere come ripartire. Questo atteggiamento si fonda su due malintesi: il primo è che sia possibile stare fermi, limitarsi a galleggiare accontentandosi di non regredire, nel limbo di una “transizione” senza scadenza; ma è un’illusione, stare fermi non si può, gli eventi incalzano e ci saranno sempre situazioni in attesa di essere definite. Il secondo malinteso è la convinzione che prima o poi le condizioni si ripristineranno, cioè -etimologicamente- ritorneranno ad essere quelle di prima; ma non succederà, perché le cose -una volta cambiate- non “tornano”, quando le carte sono state ridate e le condizioni economiche, politiche, e relazionali sono mutate, quello che si deve fare è costruire nuovi equilibri, inventare nuove mediazioni, ridisegnare gli obiettivi intermedi… non rimpiangere il passato e fermarsi ad attendere che ritorni. Il Rapporto sintetizza così questa necessità: “L’attenzione alla qualità delle cose che abbiamo intorno richiede di rinegoziare il nostro modello di sviluppo, interrompere l’inerzia delle reti di rappresentanza e di appartenenza, spiazzare l’atteggiamento corrente della nostra cultura sociale e politica. Si ripropone l’esigenza, fin qui sopita, di ritornare a sperimentare innovazione istituzionale, di ritrovare il gusto e il coraggio dell’inquietudine, di rilanciare una nuova fase dei meccanismi decisionali.”
Spesso -ascoltando i discorsi dei leader di partito- sembra che il compito della politica sia diventato soprattutto quello di “rassicurare” i cittadini, convincerli che i problemi di ciascuno saranno presto rimossi e che gli interventi proposti (ovviamente ciascuno lo afferma dei suoi) saranno risolutivi. Una sorta di ruolo genitoriale di tutela che pur di acquisire il consenso non si fa scrupolo di promettere più di quanto possa, di rimuovere o minimizzare le incognite e di ostentare sicurezze che tali non sono. Il discorso politico dovrebbe invece essere piuttosto un discorso tra adulti: presentare analisi, elaborare proposte ragionate e credibili e su queste chiedere fiducia; non dare pacche sulle spalle per rassicurare sprovveduti spaventati tacendo incertezze e rischi. Il futuro è un paese sconosciuto da esplorare, le strade non sono già segnate: bisogna ipotizzarle, tracciarle e percorrerle. Il cerchietto rosso può dirci dove siamo, ma dove vogliamo andare, quale strada vogliamo seguire e insieme a chi dobbiamo deciderlo noi. L’importante è aver chiaro dove vogliamo arrivare, ma non basta digitare la meta sul navigatore e poi seguire le istruzioni: bisogna armarsi di bussola, coraggio, pazienza, buoni compagni di viaggio e -soprattutto- voglia di viaggiare.