A richiamare in causa Veltroni in W (ViVa) la libertà di Roberto Andò, non è solo il fenotipo di Servillo ma la stessa W (di Walter s’intende) e il doloroso ricordo di una vittoria troppo al lungo disattesa, nonché una fuga parigina.
Servillo incarna un leader smarrito, Salvatore Olivieri, che per contingenza, ricorda più Bersani e la gioiosa macchina da guerra dei suoi predecessori. Stanco degli insulti e ingabbiato nelle viscose maglie di un partito privo di identità e impantanato, torna al suo passato facendo perdere le proprie tracce: un’inconscia escapade in ricordo di una gioventù sessantottina che rievoca ibride ma efficaci triangolazioni amorose.
Nel frattempo il suo braccio destro cerca di sottacere la sua scomparsa perché nessuno (neppure la famiglia) riesce a capire dove possa essere fuggito.
Scopre così che il leader del centro sinistra ha un fratello gemello appena dimesso da un reparto psichiatrico. D’accordo con la moglie (del primo) decide di ingaggiarlo: l’escamotage funziona. Il folle rispolvera un linguaggio obamiano, parla di sogni e di passione facendo risalire la china al partito del fratello con il quale, nel frattempo, scambia silenzi telefonici. Due settimane al fotofinish alle prese con un’intensa campagna elettorale che il leader, segue basito da una TV estera.
Per tutti reduce da una breve convalescenza, il neo-politico appare radicalmente cambiato: solo i tratti somatici sono identici.
Non a caso la locandina evoca senza fraintendimenti, un giano bifronte.
La straordinaria mimica di Servillo è il paradigma delle esperienze di vita: si subiscono alcuni eventi anche quando si ha l’impressione di governarli, e questo è il nodo gordiano che resta ingarbugliato. Straordinaria anche Anna Bonaiuto, immediato il confronto con un’ altra Anna, la Finocchiaro.