In un mondo sempre più interdipendente, globalizzato e dove molto spesso le politiche sociali e soprattutto i sistemi di welfare sono il discrimine per sondare la qualità e l’efficienza di uno stato-nazione, I Quaderni dell’Oasi si pongono non solo l’obiettivo di una serie di riflessioni sul cosiddetto “welfare in movimento” (quasi sinonimo di “in evoluzione” o almeno di “dinamico”) ma anche di farlo con una metodologia rinnovata se non addirittura inedita.
I Quaderni dell’Oasi infatti sono il risultato di un’opera di elaborazione per certi versi “old style”: ci si vede tutti in un determinato luogo, tra esperti del settore, e si discetta su uno specifico argomento ed una determinata issue.
Vi è anche un decalogo, a pagina 43 all’interno del contributo di Andrea De Dominicis, in cui si elencano i 12 motivi per cui ci si riunisce e si discute insieme: dal desiderio di cercare il senso del proprio agire, in quanto professionisti ed esperti della materia, al “una rondine non fa primavera”. Passando ovviamente per il quanto mai filosofico “perché ci piace”.
Ma che quadro esce da questo quaderno tutto dedicato al welfare ed ai suoi sistemi?
In primo luogo una non scontata, quasi da lasciare agli storici della politica, analisi della Big Society britannica avanzata alla vigilia delle elezioni generali del 2010 dall’attuale primo ministro conservatore David Cameron. Il tema infatti di una nuova economia sostenibile passa anche da un maggior coinvolgimento dei cittadini e della comunità nella gestione della cosa pubblica. E ciò non solo ci mostra un quadro che volendo, per quanto concerne i sistemi di welfare, è possibile rieditare anche in altre realtà differenti da quella britannica. Ma soprattutto una svolta politica notevole da parte di un esponente di un partito che un tempo, nel bel mezzo del periodo thatcheriano, rivendicava con orgoglio come in realtà “la società non esistesse, in quanto esistono solo gli individui”. Se consideriamo il grado di interdipendenza che sta assumendo il mondo e il declino di una forma di dirigismo statale vecchio stile possiamo cogliere nella Big Society, seppur con tutte le giustificate e legittime critiche del caso, un determinato modello ad una specifica domanda di cambiamento.
Il testo poi si snoda su particolari filoni. Due quelli più degni di nota: l’analisi di Alfonso Pascale sull’agricoltura che ritrae un settore molto spesso considerato desueto se non addirittura antico come invece un volano per l’innovazione sociale. Quanto mai un’analisi adatta alla realtà nostrana dove l’elemento agrario e le politiche agricole hanno assunto sempre un peso notevole se non a tratti controverso. La specificità del prodotto agricolo italiano come un’occasione anche per far capire in sede europea come dalle peculiarità si può trarre sviluppo. Sulla falsariga delle dichiarazioni d’intenti del ministro dell’agricoltura Mario Catania.
Merita anche un cenno la parte intitolata “Identità e decrescita per rivitalizzare il sociale” di Patricia Pagoto: infatti non solo ne esce un grandissimo elogio del “filosofare” come occasione per lo sviluppo (merce quanto mai rara in un mondo sempre più veloce dove sembrano affievolirsi sempre più i momenti di riflessione) ma anche una disamina su quali sono le reali capacità di una società che percorso la strada dell’iperinclusività.
Un approccio a tratti paradigmatico. In quanto rappresenta lo stile di elaborazione e scrittura che accompagna la redazione dei singoli quaderni dell’Oasi Lab. Che, con questo volumetto sui sistemi di welfare, ha inserito un ulteriore tassello verso la reale comprensione di dinamiche sempre più in movimento e, appunto per questo, sempre più complesse.