?Il Web è nato negli anni ?60 in America per difendersi dagli attacchi nucleari?. Molte sedicenti guide di Internet iniziano così quando parlano del WWW. Ma sbagliano, e di grosso anche. Sul finire degli anni ?60 in America si comincia a pensare ad un metodo efficace per scambiare dati in formato digitale fra università e centri di ricerca. I militari si interessano alla cosa e sponsorizzano ampi studi e ricerche, giustificando alcune scelte finali come necessarie in caso di attacco bellico. Fino a qui la genesi di Internet.
Ma il Web è altro. L?apporto americano diretto si limita all?infrastruttura della rete di comunicazione, perché il Web vede la luce molti anni dopo, nei primi mesi del 1989, grazie ad un ricercatore inglese, Tim Berners-Lee che all?epoca lavorava al CERN di Ginevra. Quindi niente Stati Uniti e segreti militari per l?invenzione che, paradossalmente, è stata la più americanizzata delle applicazioni di Internet, ma solo la necessità di creare un sistema di pubblicazione e consultazione di informazioni facilmente gestibile.
La svolta del successo mondiale è del 1993 con la nascita di Mosaic, il primo programma ad interfaccia grafica per leggere le pagine scritte appositamente per il World Wide Web, creato da due studenti americani.
Il Web quindi come parte di Internet, tanto quanto la posta elettronica o i gruppi di discussione sono un aspetto della Rete, ma non Internet nella sua totalità. Sicuramente è il servizio più diffuso, conosciuto, massificato, sfruttato, commercializzato e d?effetto che Internet metta a disposizione, ma non è l?unico, anzi è l?ultimo arrivato, e personalmente ritengo sia quello che ha meno mantenuto i caratteri e lo spirito originali, che mossero centinaia di ragazzi e ricercatori a condividere le loro conoscenze ed esperienze secondo dei criteri che a posteriori sono stati codificati in ?etica hacker?.
Berners-Lee desiderava solo creare un sistema per poter visualizzare velocemente documenti ed immagini e per poterli scambiare efficacemente con altri ricercatori e collaboratori sparsi per il mondo, e pensò ad una organizzazione per ipertesto. Indubbiamente questa idea è stata vincente, anche se non originale, ma risalente al 1965. In breve, noi siamo abituati a pensare ai testi in modo sequenziale, leggiamo dalla prima all?ultima pagina con ordine, seguendo in pratica un?ipotetica unica dimensione. Ma Ted Nelson, l?inventore dell?ipertesto, pensava a quest?ultimo come ad una ?scrittura non sequenziale?, ossia un testo che si dirama in direzioni che è impossibile stabilire a priori e consente a chi legge di compiere delle scelte attive su cosa e come leggere. L?idea concretizzata in pratica è permettere che un testo possa contenere dei riferimenti ad altri documenti esterni al testo stesso di partenza, od anche al suo interno. Un po? come in un?enciclopedia la spiegazione di un termine rimanda spesso ad altri lemmi descritti.
Nel leggere un ipertesto, ciascun lettore stabilisce quindi la sua rotta: per questo l’attività di consultazione di un ipertesto viene comunemente detta navigazione da una pagina ad un?altra, da un sito italiano ad uno americano, passando per uno neozelandese, e così via, in un?eterna ghirlanda brillante.
In genere la lettura di un ipertesto è considerata più difficile di quella tradizionale, da un lato perché dopo un po’ il lettore può sentirsi disorientato dai troppi salti fra un documento e l’altro, e dall’altra perché la quantità di informazioni, quasi mai organizzate secondo una stessa metodologia (ogni sito web ha una sua logica interna nella disposizione delle pagine e dei collegamenti), unite alla necessità di mantenere un filo logico nella navigazione e un minimo di memoria storica delle pagine già viste, impegna considerevolmente il navigante.
Un buon sistema per non perdersi, è di imparare a conoscere ed usare il proprio browser. Lui memorizza tutto!
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