Quando alcuni mesi fa è scoppiata la crisi è stato immediato l?accostamento, da parte dei media, con quella del Ventinove. Un parallelismo naturale, considerando alcuni dei punti che apparentemente queste due crisi hanno in comune: la violenza e la rapidità, l?area da cui si sono propagate (i mercati borsistici e finanziari), il fatto di aver innescato reazioni a catena oltre i confini del mercato nazionale d?origine. Altrettanto significativo sembra essere il parallelismo tra le ricette utilizzate per uscirne. Le prime iniziative di Obama sono già state etichettate come ?Green New Deal?.
Il confronto pare dunque efficace, anche se non si può non provare una profonda inquietudine considerando che la soluzione della crisi del Ventinove è arrivata solo con la Seconda guerra mondiale. Gli effetti del New Deal di Roosevelt si erano infatti rivelati come palliativi temporanei e incapaci di risollevare realmente un?economia mantenuta attiva attraverso forme di ?accanimento terapeutico? di Stato. Al di là però di queste facili analogie – che forse fanno parte di una comunicazione mediatica sempre più tesa a spettacolarizzare gli eventi piuttosto che ad approfondirli – sarebbe importante riflettere sulle differenze tra la crisi del Ventinove e quella attuale. Nel 1929 esistevano essenzialmente due blocchi di economie ?avanzate?: gli Stati Uniti e la frammentata Europa. I primi, una potenza ormai affermata; l?Europa, intenta a risalire faticosamente la china dopo la Grande Guerra, con la Gran Bretagna e la Francia all?inizio di un lento declino come potenze imperiali e con la Germania completamente dipendente dai finanziamenti americani. L?Asia era un insieme di stati coloniali o semi coloniali (con l?eccezione della ?tigre? giapponese), il Sudamerica e l?Africa costituivano, in buona parte, un?immensa riserva di materie prime per gli Stati Uniti. Nel 1929 gli Stati Uniti che avevano attuato forme di protezionismo, erano il principale creditore dell?Europa ma erano, contemporaneamente, dipendenti dai mercati europei. Oggi, invece, gli Stati Uniti sono un paese fortemente indebitato con paesi, solo per fare alcuni esempi, come Cina e Brasile. L?attuale quadro geo-politico è quindi multipolare: si trovano in esso paesi in crescita (Russia e Brasile) e altri che stanno consolidando il loro ruolo di superpotenze economiche: Cina e India.
La Cina sta attuando una silenziosa strategia per accaparrarsi le materie prime di molti paesi africani (ma anche sudamericani). Tale strategia, volta ad ottenere le concessioni di sfruttamento delle materie prime, si basa sulla costruzione di una rete di infrastrutture (strade, porti, aeroporti, scuole ed ospedali) che consentiranno lo sviluppo dei singoli paesi ricchi di materie prime: Sudan (petrolio), Zambia (rame), Guinea e Ghana (bauxite), Ruanda e Uganda (molibdeno e niobio, utilizzate per la produzione di leghe speciali per l?industria aeronautica e missilistica ), Congo (diamanti, oro, cobalto e tantalio che rende possibile costruire cellulari così piccoli), Liberia e Mauritania (ferro), Angola (petrolio e diamanti). La Cina, non va dimenticato, è una superpotenza tecnologica che ha avviato, fin dal passato, vere e proprie rivoluzioni, con la bussola o la polvere da sparo.
Veniamo all?India: sta esportando in Africa e il Sud America Ict (Information and Communication Technologies) e interconnettività a basso costo e si sta trasformando in un centro mondiale della conoscenza grazie all?alto livello dei suoi knowledge workers, lavoratori della conoscenza coinvolti nelle trasformazioni tecnologiche. Secondo Bill Gates, mentre qualche anno fa l?India stava emergendo come una superpotenza nel campo dell?Ict oggi si trova al centro dei più sofisticati progetti mondiali nel campo della ricerca e dello sviluppo: nelle biotecnologie, nella bioinformatica, nelle nanotecnologie, nell?intelligenza artificiale, nel settore delle Tlc (in particolare del wireless), nella tecnologia spaziale, nello sfruttamento per usi pacifici dell?energia atomica. Rispetto al Ventinove, vi è poi la rilevanza economica dei paesi del Medioriente.
È impossibile, quindi, prevedere come quest?enorme numero di variabili economiche si interfacceranno tra loro ed è comunque molto evidente che difficilmente il loro intreccio sarà simile a quello che si è sviluppato dopo la crisi del Ventinove.
Per quanto riguarda l?Asia nel suo insieme, e dal punto di vista della prospettiva storica, va osservato che il ventunesimo sarà ?il suo? secolo. Il XIX è stato il secolo dell?Europa, durante il quale le maggiori potenze europee hanno costruito un sistema coloniale globale, hanno diffuso nel mondo la scienza moderna e hanno guidato la ?civilizzazione?. Il XX è stato il secolo degli Stati Uniti che hanno svolto un ruolo di leader nello sviluppo dell?industria della motorizzazione, dell?audiovisivo e della tecnologia dell?informazione. Ma è stato anche il secolo che, negli ultimi anni, ha mostrato limiti e pericoli di uno sviluppo e di un consumismo senza fine. Con una governance non basata sul soft power – una civiltà che mette al centro l?uomo e non le cose – ma sulle leggi del marketing e su un capitalismo finanziario spietato che ha aumentato a dismisura il divario tra classi sociali. Come sarà il secolo XXI? È convinzione diffusa che sarà il secolo dell?Asia: si prevede che la Cina diventerà una potenza imperiale che potrebbe prendere il posto dell?America. E che la stessa India entrerà a pieno titolo tra le superpotenze economiche. Oggi in Asia esistono più di un miliardo di individui con meno di diciotto anni in grado di imparare rapidamente ad usare la moderna tecnologia occidentale. Secondo molti analisti internazionali di think tanks, sia occidentali che asiatiche, la grave crisi economica, che non ha precedenti perché globalizzata, non è una voragine in cui è caduto il mondo, ma una lunga galleria al di là della quale si può forse, con un po? di ottimismo, scorgere un futuro luminoso. Ma è una crisi che sta mettendo allo scoperto non solo le insufficienze strutturali della finanza e dell?economia, ma anche la debolezza di diversi sistemi sociali, la gracilità di alcuni gruppi dirigenti, il debole senso dello Stato. Rivelerà, insomma, in modo impietoso che il progetto nazionale di alcuni Paesi è prossimo al capolinea. Ogni riferimento all?Italia, non è affatto casuale.
La crisi economica non è una voragine ma una lunga galleria.